Il raccolto degli agrumi, meno redditizio, è crollato negli ultimi anni. Nell’isola si moltiplicano gli esperimenti di nuove coltivazioni fino a ieri impensabili. Ma le temperature sempre più alte rischiano di compromettere le nuove produzioni

Maruzza, trentacinque anni e una vitalità che supera anche il caldo torrido di agosto, corre nel primo pomeriggio di nuovo nei suoi campi perché un incendio minaccia le sue colture di avocado e mango a Capri Leone, territorio dei monti Nebrodi, nel Messinese. Lei ha investito il futuro suo e della sua famiglia in quella zona e non vuole che tutto vada in fumo, timore che si fa vivo ogni anno nella stagione in cui i terreni da gialli passano al nero: «Per fortuna non è mai successo nulla, anche perché siamo attrezzati ad affrontare questo, adesso i Vigili del fuoco stanno spegnendo le fiamme, ma è un pericolo costante».

Anche quest’anno le sue piantagioni sono al riparo dalla condanna che come ogni estate accade si abbatte anche stavolta sui monti siciliani. Il territorio è però perfetto per la coltivazione di frutti tropicali: dalle pendici dell’Etna ai Nebrodi, fino a Terrasini, nel Palermitano, più giù nel meridione dell’isola dove si attestano gli ultimi esperimenti (alcuni falliti) nelle zone dell’Agrigentino e poi nel Belice: sotto i colori della Trinacria sorgono ogni anno nuove aziende che coltivano piante esotiche dove prima c’erano agrumeti. Mango, avocado, ma anche passion fruit, litchi, papaya, banane e altro ancora: nel mondo salutare che strizza l’occhio ai frutti con grandi proprietà la maggiore richiesta ha portato in 5 anni, secondo Coldiretti, a 500 ettari una coltivazione che fino a poco tempo fa non arrivava neanche a 10.

Dove c’erano agrumeti, limoni e arance, tipici prodotti siciliani, adesso si parla una lingua straniera: «Quando questi terreni li coltivava mio nonno non c’erano le condizioni per i frutti tropicali. Adesso produciamo mango dove c’erano aranceti e limoneti, ma in alcuni terreni abbiamo ringiovanito gli agrumeti. Non mi piace parlare di sostituzione ma di riorganizzazione», racconta Maruzza Cupane.

Un ex pescheto è adesso coltivato con frutti tropicali, mentre i cambiamenti climatici hanno portato alcuni a spostarsi perché in alcune zone non c’è più acqua. La giovane imprenditrice agricola, laureata in agricoltura biologica, con la sua famiglia ha deciso di lanciarsi nella coltivazione di mango (il suo Marumango, come lo chiama) riprendendo terreni che rendevano poco. Ha trovato la condizione perfetta: «La nostra è una innovazione che ha portato a fare delle scelte anche economiche in quanto i frutti esotici rendono di più. Il motivo essenziale sta nella vocazionalità dei terreni e di questo ambiente, dove non c’è una grande escursione termica, dove l’acqua non manca grazie ai Nebrodi e i terreni sono tendenzialmente “sciolti”». Terreni ottimi per i nuovi frutti che prendono così il posto di quelli tradizionali, alcuni dei quali non vengono neanche più raccolti negli agrumeti ancora in attività.

Secondo Coldiretti, il terreno coltivato ad arance è diminuito del 31% negli ultimi 15 anni, mentre quello dei limoni ha subito una riduzione del 50%. Minore quantità ma maggiore qualità per gli imprenditori che adesso mirano da un lato agli agrumi selezionati, come l’arancia rossa, e alle piante tropicali, per cui il caldo non rappresenta un problema. Almeno fino a qualche tempo fa. Il paradosso è infatti che gli stessi cambiamenti climatici favorevoli alle coltivazioni tropicali anche in Sicilia, adesso rischiano di inficiare il raccolto: «Il forte caldo (la Sicilia ha toccato il record europeo questa estate, ndr) ha portato molti frutti a bruciarsi, ad aumentare lo scarto e a portare problemi al mango. Speriamo sia solo una estate torrida straordinaria e quindi un problema momentaneo, ma se queste estati così calde dovessero continuare sarebbe un serio problema per le nostre colture».

Dai Nebrodi a Giarre, vicino Catania, le ambizioni e i problemi sono gli stessi: Andrea, dell’azienda “Avocado di Sicilia” da venti anni ha fatto una scelta di vita che lo ha portato a lasciare la carriera legale per l’agricoltura: «L’ho fatto per mio nonno, non l’ho conosciuto ma ho ereditato la sua passione per i campi», racconta: «Adesso l’agricoltura è cambiata, occorre comprendere anche il marketing e la parte commerciale. Io due volte l’anno prendo la macchina e vado da tutti gli acquirenti nella penisola, curo l’immagine di questi frutti che adesso hanno raggiunto i supermercati nazionali e internazionali». La tecnologia ha aiutato Andrea, che otto anni fa si era lanciato nell’e-commerce dell’avocado di Sicilia con ottimi risultati e adesso mira a raggiungere nuovi mercati, non solo con l’avocado ma anche con gli altri frutti che lavora in maniera costante per una richiesta che continua a salire. Il caldo torrido di questa estate però non ha fatto bene: «La vocazione del terreno è essenziale per queste colture, ma dobbiamo fare i conti con l’aleatorietà del clima, perché da noi le condizioni climatiche sono state sempre ottime, da almeno trent’anni».

Il forte caldo di luglio e agosto anche per gli avocado e i mango ha portato qualche problema nei 130 ettari e nelle 24 aziende agricole con cui collabora Andrea Passanisi, che guarda con orgoglio i suoi campi verdi di avocado sotto gli occhi di “mamma Etna”, la cui cenere è un rinforzo in più per i terreni. «Il clima, se prima era un fattore favorevole, oggi influisce negativamente, il cambio di stagionalità è diventato drastico, violento», spiega Passanisi, che ricopre anche il ruolo presidente di Coldiretti Catania.

«Il nostro resta però un territorio ideale per l’avocado, sia per il terreno che per l’escursione climatica. La speranza è che il forte caldo non ci sia anche i prossimi anni. Il cambiamento è un’arma a doppio taglio ma la soluzione per me è solo una: piantare». Nei suoi campi sembra di stare in Brasile, ma nonostante l’avocado e il frutto della passione lui però non vuole abbandonare i limoni: «Estirpare le vecchie colture sarebbe un fallimento».

Dall’Etna al mare di Terrasini, di cambiamento climatico si parla anche nel Palermitano: «Quest’anno, in queste zone, la produzione di mango sarà in negativo dell’80% rispetto al 2020 a causa dell’inverno troppo caldo», racconta un altro giovane imprenditore agricolo, Rosolino Palazzolo, tra quelli che si stanno facendo strada in Sicilia, regione che oggi rappresenta la maggiore produttrice di frutti esotici in Italia. «Prima l’inverno era più lungo: adesso la stagione si è accorciata, la vegetazione non ha fatto la fioritura. Dall’altro lato vanno bene le coltivazioni di papaya e banane. Il forte caldo di quest’anno mi ha però permesso di sperimentare le coltivazioni di cacao che negli anni scorsi invece non mi erano riuscite. Considerato il cambiamento climatico aumenterò le produzioni. Bisogna adattarsi: ad esempio lo stesso clima ha ucciso la mosca dell’ulivo, quindi ci sono lati positivi e lati negativi, bisogna rinnovarsi».

A differenza di quello che accade a Palermo, dove Rosolino nel suo “Orto di Rosolino” è riuscito ad adattarsi ai cambiamenti climatici, testando nuove colture, in alcune zone climatiche gli esperimenti non sono però riusciti. A Menfi, ad esempio, nell’Agrigentino, le coltivazioni di mango non sono andate a buon fine per il troppo caldo.

«La pluviometria è cambiata in Sicilia. A Licata, ad esempio, arrivano 300 millimetri di acqua all’anno, nel Messinese mille», spiega il giovane agronomo Piero Cumbo, una laurea in Agroingegneria e una passione sin da giovane per l’agricoltura con un occhio di riguardo per la natura. «Negli ultimi anni c’è una maggior durata dei periodi secchi mentre i periodi caldi sono elevati, ciò comporta la coltivazione di frutti esotici da un lato, ma dall’altro l’abbandono di vecchie colture a causa del clima ma anche per cause economiche, perché la produzione di queste colture nuove rende di più».

I frutti esotici infatti hanno più mercato e un’espansione che è nel pieno della sua esplosione a differenza di agrumi, ulivi e vitigni che subiscono la concorrenza dei Paesi stranieri. Il paradosso è anche questo: se negli anni la Sicilia si converte all’esotico, adesso colture tipicamente siciliane si spostano verso Nord. «Gli ulivi siciliani e del sud Italia adesso subiscono la concorrenza di quelli della Pianura Padana, portando a un deprezzamento delle colture storiche siciliane», racconta ancora Piero Cumbo, che della sua passione ha fatto il suo lavoro.

Se il presente è quello dell’incremento del mercato, il futuro della “Sicilia tropicale” è in continuo cambiamento, ma i giovani e arrembanti imprenditori agricoli non hanno intenzione di fermarsi a guardare: «Noi studiamo metodi per consumare meno acqua», spiega ancora Maruzza: «Dobbiamo pensare ai nostri figli, per loro dobbiamo rispettare la natura». Anche Andrea pensa a suo figlio, oltre che al futuro dell’azienda: «Non dobbiamo bruciare, dobbiamo piantare sempre e dare ossigeno alla terra, seguendo la vocazione del territorio».