La denuncia in un rapporto di Save The Children che attacca Bruxelles e i paesi membri. I ricercatori hanno passato due mesi sulle frontiere settentrionali dell’Italia raccogliendo testimonianze delle brutalità: «Sogno ancora le violenze della polizia nei boschi della Croazia»

La difesa dei sacri confini, del proprio territorio, della propria nazione. Sono gli slogan che in giro per l’Europa si sentono spesso per bocca di qualche rappresentante politico pronto a scagliarsi contro tutto ciò che è “diverso” e che vuole “invadere”. Forse senza sapere che tra coloro che provano ad entrare nel Vecchio Continente ci sono anche tanti, tantissimi minorenni soli che scappano e subiscono violenze fisiche e psicologiche durante il loro viaggio. E non di rado trovano un’accoglienza peggiore tra i paesi europei. Molti non sono neanche tracciati e si muovono ogni giorno “come fantasmi” a piedi o in camion, tra strade e sentieri di montagna in un'Unione europea che fa finta di non vedere.

 

L’allarme lo lancia Save The Children, nel rapporto “Nascosti in piena vista. Minori migranti in viaggio (attra)verso l’Europa” a cura del giornalista Daniele Biella e del fotoreporter Alessio Romenzi, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Un lavoro che ha portato gli autori e un team di ricerca per due mesi sia al confine italo-sloveno, svincolo importante della tremenda rotta balcanica, sia a Ventimiglia o a Oulx, ad osservare e a raccogliere testimonianze dei respingimenti francesi. In realtà, sottolinea nel rapporto Save The Children, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, l’articolo 3 della Convenzione Onu contro la Tortura e l’articolo 33 della Convenzione sullo Status di Rifugiato del’51, confermano che in nessun caso un minore straniero non accompagnato possa essere espulso o respinto alla frontiera. Purtroppo quello che accade in Europa è ben diverso.

 

Secondo il censimento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a fine aprile 2021 i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia erano 6.633. In quel mese ne sono arrivati 453, di cui solo 149 tramite gli sbarchi e ben 107 attraverso i Balcani. Questi primi dati raccontano solo parzialmente la situazione, che è fatta di volti, storie e racconti di ragazzi. In certi casi poco più di bambini. Come Ibrahim, 11enne del Bangladesh e cieco da un occhio, che a Save The Children ha raccontato di voler «venire in Italia per essere curato, ho viaggiato per un anno e la parte più dura è stata la rotta balcanica, dalla Croazia sono stato respinto 12 volte, in alcuni casi picchiato e derubato dalla polizia di frontiera. Ho camminato tanto a piedi, un mese e sei giorni dalla Bosnia, arrivando senza avere nulla da mangiare». 

 

Una volta arrivati in Italia, in Friuli-Venezia Giulia, chi viene intercettato da esercito o forze dell’ordine è portato in questura per un’identificazione, sottoposto al tampone e smistato in centri di accoglienza. Da alcuni mesi infatti non sono più consentite le riammissioni verso la Slovenia. Nel 2020 sono state 1.301, tra cui anche quelle di minori non accompagnati. È nelle strutture ospitanti che Biella, Romenzi e il team di ricerca di Save The Children parlano con Nadir, 16enne afghano: «In Afghanistan non si può vivere bene e non è possibile studiare. Va tutto male là a causa della guerra. Ai miei fratelli però dico di non fare il viaggio che ho fatto, perché in Bulgaria sono rimasto in prigione tre mesi, sono stato picchiato. Quando sono arrabbiati, picchiano e basta». 

 

Sulla stessa atroce linea, ma ancora più duro, è il quadro che illustra il neomaggiorenne Abdel, che viene dal Pakistan: «Sogno spesso le violenze della polizia nei boschi della Croazia. Una volta ci hanno fatto camminare senza sosta in salita per ore, continuando a picchiarci, un poliziotto si divertiva a farlo [...] Una volta invece la polizia è arrivata, i piedi erano feriti e non siamo riusciti a scappare, avevano i cani. Quando abbiamo riprovato di nuovo a scappare, uno di noi è stato bastonato dalla polizia alla testa ed è morto sul colpo. È morto e l’hanno preso e buttato nel fiume, l’hanno buttato nel fiume». Non sorprende l’aumento negli ultimi tempi dei traumi psicologici dei minori viste le tante testimonianze che inchiodano paesi europei come Bulgaria e Croazia per le brutalità commesse dalle forze dell’ordine ai danni di ragazzi e ragazze. 

 

 

Ma per molti, la maggior parte, l’Italia non è la destinazione finale. Non è la conclusione di quel pericoloso “game”, come viene chiamato da loro: il sogno è arrivare nel Regno Unito, in Germania, in Francia. E quindi continuano nella migrazione, sempre con il rischio di essere oggetto di violenze, incidenti e traffico di esseri umani. Per questo, sempre nell’aprile del 2021, sono stati 302 i minori che si sono allontanati dalle strutture di accoglienza, 24 dai centri del Friuli per dirigersi verso il confine italo-francese. Ma anche lì sono in molti ad essere respinti, trattati come adulti alla frontiera tra Ventimiglia e Mentone. I ricercatori hanno intercettato il 17enne Gyasi, che è arrivato in Italia dal Ciad passando per la Libia, dove nel centro di detenzione gli hanno sparato a una gamba, è tra i tanti migranti respinti dalla Francia: «Ho dichiarato la mia data di nascita, 2004, quella con cui sono stato registrato allo sbarco in Sicilia. Ma non mi hanno creduto e mi hanno riportato in Italia scrivendo sul refus d’entree una data che mi fa risultare maggiorenne». Solamente nell’aprile 2021 sono stati 18 i minori non accompagnati respinti di cui si ha segnalazione. Dati probabilmente parziali.

 

Il grido di Save The Children è forte, lanciato da Raffaella Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa: «Ogni giorno e ogni notte attraversano i confini degli stati membri dell’Unione Europea, Premio Nobel per la pace, che continuano a chiudere gli occhi di fronte alle violenze che i migranti sono costretti a subire». L’Organizzazione lo denuncia nel rapporto e «chiede all’Italia e alle istituzione europee una protezione immediata, un monitoraggio efficace e indipendente delle frontiere e progetti di assistenza umanitaria nei luoghi di transito».