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Non è da oggi che il velo dell’oblio si stende come una coltre sui difetti politici (e non solo) di tutti noi. Esso viene ormai codificato come un diritto e consigliato come una forma di saggezza. Esiste una sentenza europea che garantisce l’oblio e una letteratura che lo celebra (David Rieff, “Elogio dell’oblio”). 


Nel suo derby infinito con la memoria, l’oblio sta segnando molti punti a suo vantaggio. Troppi, forse. Se dopo la seconda guerra mondiale e i suoi orrori l’impegno corale dei nostri padri consisteva nel ricordare, nel non rimuovere, nel fare i conti fino in fondo con quelle sofferenze e ingiustizie inaudite, ora invece il sentimento comune che attraversa il nostro animo pubblico sembra essere quello di scrollarci di dosso tutto quello che potrebbe evocare rancori, vendette, ostinazioni. Con le migliori intenzioni, s’intende. Ma anche con qualche insidia da cui si vorrebbe mettere in guardia.


Nel mondo, la “cancel culture” che va per la maggiore inchioda i grandi del passato a responsabilità fin troppo onerose. E da Mozart a Churchill non c’è nessuno di quei grandi che sfugga alla ghigliottina della nostra memoria fuori dal tempo. Così cancelliamo i loro meriti e il loro stesso contesto, destinandoli a un oblio corrucciato e inutilmente severo.


Nel piccolo giardino di casa nostra, le svolte si producono una dopo l’altra con il sottile e perfido intendimento di evitare che si ricordino con troppa cura le parole e i gesti di ieri o ieri l’altro avvalorando epifanie politiche piuttosto strumentali e di corto respiro.


Così si cancella la storia nella sua complessità che invece andrebbe indagata. E si avvolge la politica nella trama delle sue convenienze di oggi contando che l’indomani se ne possa magari intessere un’altra di tutt’altro segno.


Il fatto è che tra la memoria e l’oblio è possibile solo un pareggio. Un compromesso, per dirla con le parole della politica. Perdonare è da re, dimenticare è da sciocchi, recita la saggezza popolare. Noi invece dimentichiamo troppo facilmente e così non riusciamo mai a perdonare neppure i nostri meriti.