Classi aperte e richiuse in pochi giorni, pericolo contagi e sfiducia nel sistema pubblico. Crescono i numeri di chi punta sull'homeschooling ma l'insegnamento tra le mura domestiche può creare le stesse disparità viste durante il lockdown con la didattica a distanza. E il pericolo dispersione è dietro l'angolo
Secondo il ministero dell’Istruzione più di 8 milioni di studenti italiani sarebbero dovuti tornare sui banchi il 14 settembre. Invece, complice la tornata elettorale, la maggior parte delle regioni ha visto slittare al 24 settembre l’inizio dell’anno scolastico e in alcuni comuni, la data è stata posticipata addirittura a inizio ottobre. Non solo. Sono già più di cento gli istituti con casi accertati di positività al Covid-19 che hanno dovuto, almeno in parte, richiudere e sospendere le lezioni in presenza. In questo clima di incertezza sempre più genitori decidono di allontanarsi dalla scuola e pensare da soli all’istruzione dei figli.
Già durante l’estate, mentre la scuola pubblica tentava di barcamenarsi tra banchi monouso o con le rotelle, mascherine, termo scanner e disinfettanti, i genitori si stavano muovendo per trovare alternative. Sono spuntate soluzioni di ogni genere: scuole private che seguono diverse metodologie didattiche, da Steiner a Montessori, scuole all’aperto come gli asili nei boschi o nelle fattorie, scuole “diffuse”, tagesmutter, per lo più asili, dove piccoli gruppi di bambini vengono istruiti a casa degli educatori. Su tutte è però una la soluzione che più attrae le famiglie: l’ homeschooling, l’istruzione parentale o famigliare, impartita direttamente a casa dai genitori o con il supporto di un tutor.
L’istruzione famigliare è sempre stata diffusa nei paesi anglosassoni, basti pensare che negli Usa sono più di due milioni i bambini istruiti a casa. In Italia invece è sempre stato un fenomeno marginale. Fino all’emergenza Covid. I principali network sull’homeschooling in Italia, Laif, L’Associazione Istruzione Famigliare ed Edupar concordano sul fatto che il fenomeno sia in crescita: «Nell’ultimo mese abbiamo ricevuto centinaia di telefonate al giorno e anche più mail per richieste di consulenza da parte di genitori di tutta Italia», afferma Sergio Leali, architetto, padre di due figli che praticano l’homeschooling e presidente di Laif.
Non esistono numeri precisi, ma secondo Erika Di Martino, punto di riferimento della community Edupar, mamma di quattro figli mai andati a scuola, l’aumento di interesse è evidente, i contatti sono più che raddoppiati e più di 2mila famiglie hanno optato per questo tipo di istruzione per i propri figli. I numeri in crescita sono confermati anche dal proliferare di “gruppi parentali” su Facebook e Whatsapp, in cui i genitori si scambiano consigli su come ritirare i propri figli da scuola e su come formarli direttamente a casa. Il gruppo Facebook “Mio figlio a scuola non ce lo mando” conta 4400 membri, di cui più di un centinaio iscritti solo durante l’ultima settimana.
«Pensavo che dopo il lockdown i numeri sarebbero scesi, invece continuano ad aumentare le richieste di aiuto e consigli per iniziare l’homeschooling, anche come conseguenza dell’avvio dell’anno scolastico: per molti genitori il primo approccio con la scuola pubblica non è stato positivo», conferma Erika Di Martino. E non sono più solo genitori di bambini delle elementari o delle medie: «Quello che ho notato è stato un incremento di interesse da parte dei genitori di ragazzi delle scuole superiori, perché i loro figli non hanno intenzione di tornare alla didattica a distanza, che evidentemente in alcuni casi è stata deludente, e pensano di potersela cavare da soli».
Secondo il presidente di Laif ci sono due situazioni che stanno spingendo i genitori verso l’istruzione parentale. Da un lato ci sono le famiglie a cui la didattica a distanza ha mostrato tutti i limiti dell'istruzione pubblica, in cui si è rinforzata la determinazione verso un cambiamento del paradigma dell'istruzione e dell'educazione. Dall’altro lato ci sono i genitori che vedono nel Covid il motivo principale di questa scelta. Molti sono turbati dalla qualità della vita scolastica dei loro figli obbligati a mascherine e distanziamento, altri sono preoccupati per il rischio contagio o per l’interruzione delle attività scolastica. «A questa seconda tipologia di genitore suggeriamo innanzitutto di acquisire consapevolezza e di informarsi bene prima di fare questo coraggioso passo: serve tempo, il genitore deve lavorare innanzitutto su se stesso e sviluppare una responsabilità progettuale, gestionale e attuativa, altrimenti c’è il rischio che si creino situazioni difficili da gestire».
Infatti, non esiste una ricetta semplice e chiara per fare homeschooling. Alcune famiglie preferiscono seguire degli orari giornalieri, utilizzando testi e programmi scolastici, altre si affidano a un apprendimento più naturale e spontaneo dove si assecondano i bisogni, gli interessi e capacità dei figli. «Spiegare come si fa homeschooling è impossibile perché esistono tanti metodi quante sono le famiglie che lo praticano» sostiene Erika Di Martino. «La famiglia sceglie cosa e come il bambino o il ragazzo deve imparare, in base ai desideri, alle inclinazioni e ai tempi dei propri figli».
I fautori dell’homeschooling tengono a sottolineare che da un punto di vista legislativo è tutto legale, perché non è la scuola e la sua metodologia didattica a essere obbligatoria bensì l’istruzione. Chi sceglie questa via deve inviare un’autocertificazione al dirigente scolastico, specificando che intende occuparsi direttamente dell’istruzione dei propri figli e dichiarando di essere in possesso delle capacità tecniche o economiche per farlo.
La cultura non è un elemento decisivo, ciò che è determinante è l’atteggiamento genitoriale perché «l’istruzione parentale ha si a che fare con l’istruzione, ma molto di più con la crescita globale della persona», afferma con convinzione Sergio Leali: «Possono farlo genitori che provengono da ogni estrazione sociale o livello culturale, tra chi già lo pratica ci sono ex insegnanti o professionisti ma anche papà e mamma con la sola licenza media».
Ed Erika Di Martino rincara la dose: «Non serve essere un tuttologo, sia perché al giorno d’oggi si trova tutto in rete, sia perché la community è forte, per cui possono essere i veterani dell’homeschooling ad aiutare i nuovi».
Altrimenti c’è sempre la possibilità di pagare un educatore o un tutor che istruisca a casa bambini e ragazzi.
La scuola fai da te non convince però molti pedagogisti e insegnanti. «Come pedagogista sono convinta che ci siano lati positivi e negativi, ma io credo e rivendico la professionalità e la divisione dei ruoli» spiega la presidente dell’Anpe – Associazione Nazionale Pedagogisti - Maria Angela Grassi, insegnante in pensione, pedagogista e psicologa. «Può darsi che ci siano genitori in grado di farlo, però la scuola non è solo istruzione ma anche educazione e soprattutto socializzazione, che significa anche imparare dagli altri e accettare gli altri: se non si da al bambino la possibilità di confrontarsi con l’esterno si riduce il suo mondo alla famiglia e alla casa e gli si toglie ogni punto d’incontro e di confronto».
Anche secondo Francesca Antonacci, docente di Pedagogia generale e sociale all'Università Bicocca di Milano, è importante che durante lo sviluppo ci siano più figure di riferimento per fare in modo che i ragazzi non frequentino sempre lo stesso ambiente e le stesse idee: c’è il rischio che si divarichi la forbice già esistente tra classi sociali più e meno abbienti. «La scuola svolge un ruolo sociale e politico di promozione della cultura e diritto allo studio per tutti, è difficile immaginare promuovere istruzione e cultura in modo capillare e diffuso con l’homeschooling», spiega la dottoressa. «I nuclei familiari con redditi più alti e più alti gradi di scolarizzazione hanno maggiore vantaggio nell’organizzare scuole parentali, a discapito delle famiglie in situazioni di fragilità economica o culturale, dove è più difficile che gli adulti di riferimento riescano da soli ad accrescere le competenze dei figli».
Non si può fingere che non esistano differenze culturali ed economiche tra chi decide di ritirare i propri figli da scuola, approcciando all’homeschooling per la prima volta quest’anno, mosso esclusivamente dalla paura del Covid e dalla sfiducia nel sistema scolastico pubblico in questo frangente emergenziale.
In alcuni casi l’homeschooling potrebbe tradursi in un allontanamento o in abbandono della volontà di studio e istruzione. Secondo la presidente Grassi l’insegnamento tra le mura domestiche può creare le stesse disparità viste durante il lockdown con la didattica a distanza: «Chi ha avuto alle spalle una famiglia in condizioni economico, sociali e culturali in grado di sostenerlo è riuscito a finire l’anno, gli altri hanno avuto molte più difficoltà».
E il pericolo dispersione scolastica è dietro l’angolo. Secondo i dati del ministero dell’Istruzione sono 100mila in meno gli studenti rispetto all’anno passato e i numeri rischiano di continuare a calare, non solo per l’invecchiamento della popolazione italiana, ma anche per l’abbandono.
Secondo il rapporto di Save the children “L’impatto del coronavirus sulla povertà educativa”, la deprivazione educativa e culturale di bambini e adolescenti degli ultimi mesi, rischia di avere effetti di lungo periodo sull’apprendimento e sulla dispersione scolastica che già prima della pandemia era al 14.5 per cento. Il rapporto ha mostrato che un quarto degli studenti di 15 anni non raggiunge le competenze minime in materie basilari come matematica, scienze o italiano e che gli sforzi della didattica a distanza sono stati in parte vanificati dal fatto che il 42 percento dei minori vive in case sovraffollate e 850mila in abitazioni prive di computer o tablet. Tra le famiglie in maggiore difficoltà l’8,6 percento teme che questa situazione possa comportare l’abbandono della scuola da parte dei propri figli.
«La scuola pubblica ha le sue colpe», conclude la presidente dell’Anpe, «c’è stata certamente una caduta nella qualità, ma resta il fatto che quella della scuola è stata una conquista, soprattutto per le persone più a rischio, più disagiate, a rischio dispersione: per questo non posso dire che è meglio l’educazione parentale ma forse che la scuola pubblica dovrebbe fare di più».