I responsabili delle sale operative di Roma rinviati a giudizio per rifiuto d'atti d'ufficio e omicidio colposo. Nel naufragio del peschereccio preso a mitragliate da una motovedetta libica morirono 268 profughi siriani, tra cui sessanta minori. Chiesta l'archiviazione della comandante Catia Pellegrino, ma i sopravvissuti si oppongono
Un processo stabilirà finalmente perché la Marina militare e la Guardia costiera l'11 ottobre 2013 non salvarono sessanta bambini e i loro genitori: nel naufragio a 61 miglia nautiche a sud di Lampedusa annegarono in tutto 268 profughi siriani dei 480 ammassati su un peschereccio, preso a mitragliate la sera prima da una motovedetta libica. Luca Licciardi, 49 anni, quel giorno responsabile della sala operativa del Comando in capo della Squadra navale della Marina (Cincnav), e Leopoldo Manna, 58 anni, allora capo della centrale operativa della Guardia costiera (Mrcc Roma), avranno così l'opportunità di spiegare al giudice perché quel pomeriggio, invece di ordinare l'immediato intervento al pattugliatore Libra che con l'elicottero a bordo era ad appena 17 miglia (un'ora di navigazione), attesero per oltre cinque ore l'arrivo di una nave militare di Malta, isola che si trova a 118 miglia a nord-est (218 chilometri, circa sei ore di navigazione). La Marina ordinò addirittura alla comandante della Libra, Catia Pellegrino, di allontanarsi dal punto in cui il barcone stava affondando.
Il giudice dell'udienza preliminare di Roma, Bernadette Nicotra, questa mattina ha rinviato a giudizio il capitano di fregata Licciardi e il capitano di vascello Manna. Il sostituto procuratore Sergio Colaiocco contesta loro i reati di rifiuto d'atti d'ufficio e omicidio colposo. La prima udienza si terrà il 3 dicembre. Agli atti del processo sono stati depositati anche la lunga inchiesta de "L'Espresso" sul naufragio dei bambini e
il documentario "Un unico destino", prodotto da Espresso e Repubblica.
Poche settimane dopo il disastro, Manna diventerà uno degli eroi a capo dei soccorsi dell'operazione "Mare nostrum", decisa dal governo italiano a fine ottobre 2013. Il giorno del naufragio però le disposizioni sono diverse. E a Mohanad Jammo, medico anestesista di Aleppo in fuga con la famiglia, che con un telefono satellitare supplica l'intervento immediato dei soccorsi da Lampedusa, il comandante della centrale della Guardia costiera chiede di chiamare Malta: perché è più vicina, anche se non è vero. Il dottor Jammo ha fatto tutto quello che doveva fare: si è presentato come medico, ha detto che c'erano bambini feriti a bordo, che il motore era fuori uso e nello scafo c'era già mezzo metro d'acqua. Jammo non sa che la Libra è appena oltre l'orizzonte. Ma a bordo hanno vari strumenti Gps, così tutti si accorgono che la Guardia costiera italiana sta mentendo: Lampedusa è a 61 miglia nautiche, 112 chilometri, la distanza da Malta quasi il doppio.
I militari italiani in quel momento vogliono evidentemente far valere la posizione del peschereccio: alla deriva nella zona che, secondo un'interpretazione errata degli accordi internazionali, è di competenza maltese. Una decisione che i due ufficiali probabilmente non prendono da soli, ma dopo l'ordine illegale di un'autorità superiore mai identificata. La prima telefonata di Mohanad Jammo è delle 12,26. La seconda con tutti i dettagli su posizione, feriti, acqua a bordo, delle 12.39. Sono giorni dello scaricabarile tra Italia e Malta, proprio come oggi. Nel pomeriggio Licciardi ordina, testualmente, che la Libra «non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette» maltesi. Un aereo ricognitore di Malta, però, fotografa la nave comandata da Catia Pellegrino mentre si allontana. Marina militare e Guardia costiera rifiutano di inviare la Libra anche dopo i fax e le chiamate della centrale operativa della Valletta che chiede più volte all'autorità italiana di poter impiegare il pattugliatore, perché è il più vicino ed è l'unico che possa intervenire rapidamente.
Alle 17.07 il peschereccio si rovescia. Alle 17.51, cinque ore e mezzo dopo la prima richiesta di soccorso, arriva sul punto del naufragio la motovedetta P61 maltese. La comandante della Libra invia nel frattempo il suo elicottero per lanciare in acqua zattere gonfiabili e giubbotti di salvataggio. Ma la nave sarà operativa soltanto dopo le 18, mentre molti naufraghi, con i loro bambini, conquinuano ad affogare nel mare quasi calmo. La Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione dell'inchiesta su Catia Pellegrino perché non sarebbe stata informata dai suoi superiori delle reali condizioni di pericolo. Gli avvocati dei genitori sopravvissuti, Alessandra Ballerini e Arturo Salerni, si sono opposti. Per l'ufficiale più famosa d'Italia il caso resta aperto.