Il vertice dei capi di Stato ha affrontato anche il tema della libera informazione, partendo dalle proposte della Ong.  Parla il segretario generale di Reporters sans frontières

Se qualcuno avesse previsto, l’estate scorsa, che i principali leader politici del mondo, riuniti a Biarritz per il vertice del G7, avrebbero discusso di un’iniziativa sulla libera informazione e la democrazia lanciata meno di un anno fa da Reporters sans frontières (RSF), non ci avremmo creduto.

Se ci avessero annunciato che una ventina di capi di Stato si sarebbero apprestati a sottoscrivere, in occasione della prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, a fine settembre, un partenariato solenne sulla libertà d’informazione, l’avremmo considerato uno scherzo. Come avremmo infatti potuto immaginare che il Presidente francese e quello americano, la Cancelliera tedesca, i Primi ministri canadese, italiano e giapponese avrebbero dibattuto, durante una sessione di lavoro consacrata al digitale, di un progetto nato grazie agli sforzi compiuti assieme ad un piccolo gruppo di persone?

L’universo delle ONG non è più quello di una volta. La società civile ha svolto un ruolo fondamentale nella ricerca di soluzioni al riscaldamento climatico. Ora, davanti alla crisi della democrazia, e soprattutto, davanti alla crisi dell’informazione libera, un semplice atto di denuncia non basta. Come molti altri, abbiamo deplorato che l’universo dell’informazione abbia prodotto l’equivalente dell’inquinamento in ambito ambientale, che abbia, in altre parole, generato propaganda, disinformazione, fake news… ovvero l’esatto contrario del nostro ideale di libertà, indipendenza, pluralismo informativo e verità. Ma a cosa serve denunciare tali fenomeni se non siamo poi in grado di arginarli?

Per questo motivo abbiamo deciso di affrontare direttamente le principali cause di questa deriva individuando i mezzi per applicare, nell’era del digitale, l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani, che riguarda appunto la libertà di opinione e di espressione.

Il pessimismo della ragione e l’ottimismo dell’azione, ecco lo spirito che ci ha guidati. Pessimismo davanti all’ascesa nel mondo di leader autoritari e all’aumentare dei disordini informativi alimentati in parte dal progresso tecnologico. E l’ottimismo di una ONG i cui collaboratori lavorano senza sosta per migliorare le cose e, soprattutto, per proteggere coloro che si espongono al rischio di minacce e rappresaglie per conseguire il nostro stesso obiettivo. Con la nostra piccola squadra, abbiamo sollecitato Premi Nobel, giornalisti che lavorano coraggiosamente sfidando regimi autoritari, ex dirigenti di organizzazioni internazionali, eminenti specialisti di diritto e della società digitale. Abbiamo iniziato a farlo poco più di un anno fa, e tutte le personalità che abbiamo contattato hanno deciso di condividere la nostra battaglia, spinti dalla stessa profonda preoccupazione per il destino delle nostre democrazie e del diritto fondamentale alla base di ognuna di esse: la libertà di opinione.

Dall’11 settembre 2018, data in cui la Commissione sull’Informazione e la democrazia si è riunita per la prima volta a Parigi, abbiamo fatto passi da gigante. Meno di due mesi dopo, questa Commissione, composta da 25 personalità internazionali e 18 nazionalità, ha pubblicato una Dichiarazione internazionale che definisce i principi fondamentali di questo nuovo spazio globale dell’informazione e della comunicazione, un bene comune per tutta l’umanità. L’11 novembre, dodici capi di Stato e di governo hanno ufficialmente lanciato un iter politico ispirato a questa dichiarazione, uno slancio comune sostenuto, peraltro, dal Segretario generale dell’ONU, dalla Direttrice generale dell’Unesco e dal Segretario generale del Consiglio d’Europa. Da allora, una serie di negoziati discreti ma continui sono sfociati nella creazione di un Partenariato sull’informazione e la democrazia, inserito nell’agenda del prossimo G7 su iniziativa del Presidente francese Emmanuel Macron.

Il luogo virtuale in cui ci scambiamo idee ed informazioni, questa piazza di villaggio che ha assunto dimensioni globali, è ormai ampiamente gestita dalle piattaforme digitali, private o controllate da attori statali, che ne promulgano le leggi e ne definiscono le regole. Chi può vedere che cosa? Chi ha il diritto di cittadinanza in questo spazio? Ora, le società nel settore digitale decidono autonomamente sulla base dei loro interessi e dottrine. In altre parole, sono queste che creano le norme, le architetture di riferimento e di sicurezza di questo spazio dell’informazione e della comunicazione. Le piattaforme detengono ormai, al tempo stesso, poteri pari a quelli dei governi o dei parlamenti, e gli stessi diritti degli individui. Delegare la gestione del nostro spazio pubblico a queste piattaforme non è un errore in sé ma questo “passaggio di consegne” presuppone l’obbligo di rispettare un certo numero di principi fondamentali.

Siamo ancora all’inizio del nostro percorso, ma con questa iniziativa abbiamo già individuato le garanzie per la libertà di opinione e di espressione, condizioni sine qua non della democrazia. Con questa iniziativa, abbiamo riunito esponenti di governi che, non dimenticando mai la dimensione internazionale della posta in gioco, applicheranno questi principi e individueranno le risposte migliori. Oggi, con la creazione di un Forum sull’informazione e la democrazia – il cui obiettivo è gettare le basi di una regolamentazione e di un’auto-regolamentazione ampiamente condivise – siamo già in grado di individuare le soluzioni ai problemi più pressanti.

Non possiamo certamente contare sul sostegno di tutti i dirigenti del pianeta. Ma è questa una scusa per rimanere con le mani in mano? Noi di RSF crediamo nella forza di una volontà politica capace di tradursi rapidamente in azioni e in realtà. Siamo infatti convinti che la democrazia, esattamente come il giornalismo, rappresenta un insieme di principi che dobbiamo, ad ogni costo, preservare e proteggere.

Christophe Deloire è Segretario generale di Reporters sans frontières