Da un anno nel centro storico del capoluogo siciliano c'è uno spazio di studio, riflessione e incontro che anima il dibattito pubblico. Perché, spiegano gli animatori dell'iniziativa, «la mafia si vince studiando»

Camminando lungo il Cassaro, nel centro di Palermo, da un anno ci si può imbattere in un laboratorio di lotta alla mafia. È il “No Mafia Memorial”, il primo presidio di legalità situato nel palazzo conosciuto con il nome di Gulì, una famiglia di pasticcieri che lo acquistarono nel 1800.

Lo scorso anno, nel giorno del ventiseiesimo anniversario della Strage di Capaci, il sindaco Leoluca Orlando ha dato le chiavi di Palazzo Gulì su corso Vittorio Emanuele a Umberto Santino, storico dell’antimafia e appassionato attivista, fondatore – insieme alla moglie Anna Puglisi – del Centro di documentazione siciliana intitolato a Peppino Impastato. «A quarant’anni dalla morte di Peppino e nell’anno di Palermo Capitale della Cultura, l’avvio di questa nuova avventura è un momento importante», dichiarava in quei giorni il primo cittadino palermitano.

Da allora l’enorme patrimonio di conoscenza, memoria e cultura collettiva, custodito dal centro di Umberto Santino e Anna Puglisi ha trovato casa. Mostre, incontri e presentazioni di libri si sono succedute al piano terra del palazzo. Sono tantissimi i palermitani, gli studenti, i turisti che in quasi 365 giorni hanno visitato le stanze del Memorial, tra le tavole che ripercorrono la storia del banditismo siciliano del secondo dopoguerra, quelle sul traffico internazionale di droga degli anni Settanta e Ottanta, o ancora quelle sulla vita di Peppino Impastato.

«La mafia si vince studiando» afferma Umberto Santino, il quale sottolinea come «Il centro è fondamentale per lo studio e la ricerca storica, per tramandare la memoria e riportare al centro del dibattito la storia della Sicilia, che in gran parte è una storia dimenticata». Santino ha voluto fortemente il “No Mafia Memorial”, e la sua presenza in un edificio situato nel centro di Palermo «è un grande motivo d’orgoglio, nonostante sia ancora un ‘work in progress’: dobbiamo ancora trovare molti fondi per sistemare il palazzo, al momento possiamo utilizzare solo il piano terra. C’è ancora una montagna da scalare».

Nonostante le difficoltà, il Memorial è uno spazio «di studio, riflessione e incontro» sempre più frequentato. Che ora si prepara alla celebrazioni del ventisettesimo anniversario della strage di Capaci. «Ho sempre in testa il mio ultimo incontro con Giovanni Falcone. Era il 17 febbraio 1992», ricorda Santino. «Presentavamo il mio libro “Gabbie vuote”. Gli chiesi: “Sei sicuro che daranno a te la Super Procura”. Lui mi rispose di sì, che “questa volta non potranno dirmi di no”. Parlò troppo presto: il giorno dopo Agostino Cordova uscì con un comunicato che gli sbarrava la strada. Non tutte le istituzioni sono state al suo fianco. Bisogna ricordarlo».

Anche per questo Santino e le sue associazioni quest’anno hanno deciso di alzare la voce sulle commemorazioni del 23 maggio: «Ogni anno si organizza questa celebrazione. Una celebrazione ipocrita, a cui partecipano personaggi indegni di ricordare la figura di Falcone». Il riferimento è agli uomini dello Stato che «vengono con la scusa del ricordo della strage per fare il loro comizio elettorale. La presenza di quest’anno di Salvini, poi, è un'offesa alla sua memoria».

La posizione di Santino è condivisa da molte delle associazioni antimafia (Anpi, Arci e da Giovanni Impastato, fratello di Giuseppe), che quest’anno diserteranno l’appuntamento nell’aula bunker dell’Ucciardone, organizzato dalla Fondazione Falcone. «Il nostro è un atto di coerenza. Nei primi anni eravamo noi della società civile a organizzare queste iniziative, ma si evitavano queste parate che non accettano contraddittori e contestazioni», spiega Santino. Una restrizione della possibilità di esprimersi liberamente che non comincia oggi: «In questi giorni si parla molto della protesta degli striscioni e delle forze dell’ordine che vanno a toglierli, ma qui successe tanto tempo fa, con un altro governo, con altri politici». La mente corre a dieci anni fa: «Ricordo ancora quando venne Maria Stella Gelmini, allora ministro dell’istruzione. C’era uno striscione storico: “La mafia ringrazia per la distruzione della scuola pubblica”. Non era riferito al suo operato, ma lo fecero togliere, come viene fatto oggi per i comizi del ministro leghista».

In questi tempi difficili, il ricordo di quegli uomini che pagarono con la vita il loro impegno deve essere più forte che mai: «Falcone era un uomo delle istituzioni, ma ha vissuto e subito tutte le loro contraddizioni. Ricordarlo significa ricostruire la storia del suo impegno e di quei giorni: il comportamento degli uomini che lavoravano con lui, della politica, della società civile». Proprio quello che si cerca di fare a Palazzo Gulì, un avamposto della memoria nel centro di Palermo.