Ogni settimana un termine discusso e analizzato da una grande firma

Tranquilli. Non siamo soli, e nemmeno i peggiori. Il Primo Risentito è Dio, secondo Cioran, che ha creato il mondo per sfuggire alla solitudine e ci ha messo dentro “il suo brio e le sue angherie”; il mitico Giobbe era risentito (giustamente) con Dio che lo aveva subissato di prove, e l’intero Vecchio Testamento è un covo funesto di rancorosi e vendicatori.

Siamo tutti risentiti, e a volte pure con ragione. Il risentimento è un sentimento strano, non a caso ha quel ri- che sa di rinnovo ossessivo, di coazione, e si accompagna ad aggettivi dell’inazione: è sordo, cieco, muto. E a verbi tortuosi del sottosuolo - dove alligna e cova, si acquatta rintana e striscia, s’insinua e soffia, serpeggia.
È un sentimento-gambero, va avanti e indietro, si infratta e si ingrotta. Diversamente dall’indignazione che almeno si impenna (e nei casi migliori lo segue), può farsi mania contro il principio di realtà. Perché ottunde e instupidisce a volte, come il vinile rigato quando si blocca e riproduce il verso allo stremo, con certa penosa comicità.

Nietzsche lo predisse 130 anni fa: «La nostra è l’età del risentimento, il rancore è il motore della società, il suo demone prigioniero». Non poteva immaginarlo quanto si sarebbe liberato, questo demone coi social. Cosa potesse diventare col web, officina planetaria dell’astio. Altro che morale degli schiavi. Non siamo mai stati risentiti come oggi, livorosi, invidiosi, gelosi, acrimoniosi, rissosi, maldicenti, persecutori. The underground man, il dostoevskijano esemplare delle Memorie del sottosuolo, è solo un rozzo progenitore sociopatico rispetto a noi, social-risentiti dell’aere. Cuoricini, like, faccine ridenti? Tutto falso, la fortuna dell’altro ci fa male, diceva san Tommaso, già per il fatto che egli ne goda.

Il ri-sentimento ri-stagna, ri-mastica, ri-bolle e più che esprimere protesta civile, diventa ruminìo e colite, ri-generando depressi o soggetti pronti da illudere e manovrare.

La cartografia del rancore è ricca e inesauribile. Siamo risentiti perché ci sentiamo svalorizzati, truffati, disillusi, incompresi, titolari di doti misconosciute o fuori mercato, ostaggio di situazioni familiari e pubbliche avverse, vittime del governo, esclusi dai Talent dove saremmo stati i primi, dal successo che meritavamo solo che avesse trionfato il merito.

«La nostra impotenza, la nostra incertezza, ci limita a odiare senza alcuna esattezza» – è Gaber.
Il risentimento fa male a chi lo prova, soprattutto. È come prendere il veleno, ha detto qualcuno, aspettando che l’altro muoia.

Tanto vale vivere. E in prima persona, col gesto di rottura oggi più forte: la riparazione. Del torto, del danno, della ferita, della stupidità. Lucidamente, ma con gentilezza - anch’essa un atto sovversivo.