L'Espresso ha ottenuto le carte dei magistrati sullo scandalo finanziario che sta terremotando la Santa Sede. Nell'inchiesta coinvolti i vertici della Segreteria di Stato. E finanzieri d'assalto che hanno ricevuto nel 2019 commissioni milionarie

L'Espresso, dopo l'inchiesta che ha svelato i contorni del nuovo scandalo finanziario in Vaticano, ha ottenuto nuova documentazione riservata dell'inchiesta penale aperta dai pm del papa su alcune operazioni immobiliari a Londra. Carte che sono al centro del servizio esclusivo in edicola da domenica 20 ottobre e già online su Espresso+.

Si tratta della denuncia del Revisore generale del papa e delle accuse arrivate dal direttore dello Ior Gian Franco Mammì. Di alcuni report riservati dell'affare da 200 milioni di dollari per l'acquisto di un palazzo da 17 mila metri quadri a Londra. E soprattutto le 16 pagine integrali del decreto di perquisizione del Promotore di giustizia con cui sono stati indagati dipendenti della Segreteria di Stato e pezzi da Novanta della Santa Sede come don Mauro Carlino (l'ex segretario del cardinale Angelo Becciu, di cui l'Espresso pubblica le intercettazioni telefoniche con manager italiani di peso come Luca Del Fabbro di Snam) e il direttore dell'Aif Tommaso Di Ruzza. Analizzando i documenti, è evidente che la Santa Sede si trovi di fronte a uno scandalo che ha pochi precedenti nella storia recente.

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I promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi ritengono infatti di aver individuato «gravi indizi di peculato, truffa, abuso d'ufficio, riciclaggio e autoriciclaggio» in merito a comportamenti di ecclesiastici e raider d'assalto, mentre un'altra relazione il Revisore Alessandro Cassinis, di fatto il “Raffaele Cantone” di Francesco, ipotizza «gravissimi reati quali l'appropriazione indebita, la corruzione e il favoreggiamento».

I business finiti nella lente degli investigatori riguardano inoltre non solo l'era di Angelo Becciu alla Segreteria di Stato, ma pure quella del nuovo Sostituto agli Affari Generali del venezuelano Edgar Pena Parra, fedelissimo di Francesco nominato appena un anno fa.

Nell'inchiesta vengono citati finanzieri come Raffaele Mincione e uomini d'affari chiacchierati come Gianluigi Torzi (risulta che la Segreteria di Stato nel 2019 avrebbe pagato a Torzi delle fees per 10 milioni di euro), le mosse spregiudicate di prelati potenti come don Carlino, monsignor Alberto Perlasca e Luciano Capaldo, un architetto poco conosciuto alle cronache ma con grandi entrature Oltretevere.

Ma le carte rivelano soprattutto che la Segreteria di Stato possieda e gestisca fondi extrabilancio per la bellezza di 650 milioni di euro, «derivanti in massima parte dalle donazioni ricevute dal Santo Padre per opere di carità e per il sostentamento della Curia Romana». Si tratta dell'Obolo di San Pietro, che il Vaticano invece di girare ai poveri e ai bisognosi investe in spericolate operazioni speculative. Con l'aiuto, pure, di Credit Suisse, «nelle cui filiali svizzere e italiane risulta  versato circa il 77 per cento del patrimonio gestito». Circa «500 milioni di euro», segnala l'Ufficio del Revisore Generale, finiti in operazioni finanziarie che a parere dei magistrati mostrano «vistose irregolarità», oltre ad aprire «scenari inquietanti».

L'inchiesta dell'Espresso racconta, carte alla mano, la genesi dell'operazione Falcon Oil, un tentato investimento da 250 milioni di dollari del Vaticano in una piattaforma petrolifera davanti alle coste dell'Angola (un business in cui erano già coinvolti l'Eni, la società statale Sonangol e appunto la Falcon Oil del finanziere africano Antonio Mosquito. Mentre documentazione riservata svela il complesso sistema di società – quasi tutte in paradisi offshore – usate dal Vaticano per schermare il business milionario di Londra.

Ma le carte dei magistrati vaticani segnalano che persino l'Aif avrebbe svolto «un ruolo non chiaro» nella vicenda. L'organismo presieduto da René Bruelhart avrebbe infatti «trascurato» le anomalie dell'operazione immobiliare, e il direttore Di Ruzza avrebbe «intrattenuto una corrispondenza con lo studio inglese Mischon De Reya (i legali chiamati dalla Segretaria di Stato per seguire la famosa transazione con Mincione e Torzi, ndr) con la quale l'Aif sembrerebbe aver dato il via libera all'operazione di acquisto» e alla fees a favore di Torzi.

In realtà risulta all'Espresso che ci siano però altre evidenze non citate dai magistrati. Che dimostrano come l'Aif, una volta avvertita da Pena Parra, avvisi subito le autorità antiriciclaggio inglesi e lussemburghesi, bloccando l'operazione. E chiedendo che venga ristrutturata con la trasparenza necessaria.

Per Francesco non sarà facile, davanti al nuovo scandalo, districarsi tra nemici veri, falsi amici, buoni suggeritori e cattivi consiglieri.