L’urgenza securitaria brandita mentre i reati calano. E “il popolo” evocato dal più fetido dei capitalismi. Come in un libro di Orwell

Si potrebbe, si dovrebbe rovesciare l’antico lamento di un grande poeta, andando a ripeterne le parole a ogni italiana, a ogni italiano, scuotendoli uno per uno, per sessanta milioni di volte: “O mio popolo, che cosa hai fatto?” Il Mercoledì delle ceneri di Eliot sembra però inapplicabile a questa landa desolata di umanità, che il 24 settembre scorso ha assistito al ripristino di una legge razziale, tronfiamente personalizzata sotto il nome del ministro degli interni, a cui di interiorità è rimasto poco o nulla. Si tratta del “decreto legge su immigrazione e sicurezza” - e già questo suona pericoloso, come se l’immigrazione fosse nella sua generalità un problema di cupa e minacciosa illegalità, anziché una zona della nostra vita civile in cui intervenire, proprio per evitare che si intacchino le garanzie fondamentali a protezione di ogni persona.

Politicamente parlando, si vorrebbe che l’istituzione di una legge tanto crudele fosse un peccato imperdonabile. La sua codifica probabilmente consoliderà la schiavitù in Italia, ma darebbe una scossa all’intera democrazia, se ancora si fosse in una nazione che si autointerpreta come democratica.

Moralmente parlando, pare che una parte della luce umana si chiami fuori dalla causa dei milioni di supporter governativi e che le nozioni di giustizia e ingiustizia siano in questo modo nascoste nell’oscurità, aspettando il giorno in cui si vedrà che l’assassinio commesso ai danni dell’emancipazione è stato perpetrato nel nome stesso della libertà. È questa la caratteristica precipua della nazione rinnovata secondo illogicità e abbattimenti reiterati del principio di non contraddizione: l’intervento per il ponte Morandi si annuncia velocissimo ed è di una lentezza intollerabile, la legge sull’occupazione crea disoccupati, si urla all’invasione mentre al Brennero passano due migranti a maggio e zero a giugno. Si celebra in Italia il trionfo del bispensiero teorizzato da Orwell. La mendacità si organizza sotto forma di struttura politica permanente. Il decreto Salvini viene emesso per rispondere alla “straordinaria necessità e urgenza di introdurre norme per rafforzare i dispositivi a garanzia della pubblica sicurezza”, nel momento in cui le cifre diffuse dal ministero dell’interno dimostrano che i reati calano da anni e dunque non c’è alcuna urgenza. Dalle parole, ai fatti: se le formulazioni restano illogiche, gli esiti che ne conseguono non possono che risultare tragici.

Dove avviene tutto ciò? In un Paese che non chiude i suoi porti soltanto, ma tutto il proprio territorio, considerato una proprietà invalicabile e inalienabile, uno sterminata Arizona mediterranea, popolata da feroci anabattisti, votati alla più bieca e violenta intolleranza. E’ troppo dire violenta? Niente affatto: ci sono i morti a testimoniarlo e di loro andrebbero pronunciati i nomi. Per esempio quello di Mohamed Ben Said, la prima vittima a inaugurare la lugubre conta dei deceduti presso le strutture di cosiddetta accoglienza, che si sono rinnovate nel corso di un’abominevole storia di altrettanto abominevoli acronimi, fino all’attuale Cie, ovvero centro di identificazione ed espulsione. Il decreto Salvini raddoppia il soggiorno forzato presso queste strutture dell’orrore, portandolo da tre a sei mesi.

Che cosa è un Cie? E’ un mostro giuridico, un carcere privo di norma, uno spazio limbico che sospende i diritti di chi non è colpevole di nulla se non di essere straniero, dove la vita è vilipesa e l’atmosfera concentrazionaria comporta tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, rivolte violente - e morte.

Come nel caso di Mohamed, trovato cadavere la mattina del natale 1999 in una cella presso il centro di Ponte Galeria: era riverso in una pozza di vomito, la mandibola fratturata, in overdose da psicofarmaci. Stavano per espellerlo illegittimamente, non controllando il suo certificato di matrimonio con un’italiana, che ai tempi gli valeva la cittadinanza, mentre ciò non è più garantito con le norme di questa nuova legge razziale, istituita dal governo più repressivo dal dopoguerra.

A tre giorni dalla morte di Mohamed, nella notte del 28 dicembre, presso un’analoga struttura a Trapani, sei ragazzi tunisini (di cui è prezioso ripetere i nomi: Nasim, Nashreddine, Rabah, Jamel, Ramsi e Lofti) rimasero ingabbiati in cella mentre divampava un incendio. Nel centro non erano disponibili estintori, le chiavi non si trovarono, i ragazzi morirono ingabbiati. Fu il momento in cui l’Italia si accorse di avere istituito autentici lager? Per niente. L’ipocrisia nazionale è un alimento naturale per i volonterosi carnefici della Repubblica. L’inasprimento delle norme, che condurrà a un aumento vertiginoso degli ospiti presso questi famigerati luoghi estranei allo stato di diritto, segue in modo coerente una politica della segregazione, che data dal 1995.

Fu il governo Dini il primo a prevedere la detenzione amministrativa degli “immigrati irregolari”. Il salto di qualità si è compiuto nel 1998, con la legge Turco-Napolitano, che ha disposto l’istituzione dei centri di permanenza temporanea e ha normalizzato la privazione della libertà su base amministrativa. Si è aperta così la strada a uno dei dispositivi legislativi più esecrabili nella storia repubblicana, la legge Bossi-Fini del 2002, passando poi per Maroni e Minniti, fino alla stretta annunciata da Salvini in conferenza stampa congiunta con il premier più secondario di sempre. Un provvedimento tout court malvagio, diffuso con enfasi social a partire dal volto infidamente sorridente del ministro: la paciosità del male.

La storia dei famigerati Cie accompagna e macchia l’arco intero della Seconda Repubblica. Ora sono l’ombelico di una legislazione che sottrae ai richiedenti asilo il diritto al patrocinio gratuito, li rende rimpatriabili in base a sentenze di primo grado, li minaccia di revoca a fronte della più ridicola delle violazioni, cioè la resistenza a pubblico ufficiale. Contestualmente viene colpito il virtuoso sistema di inclusione, lo Sprar, che è pubblico e realizzato in collaborazione con gli enti locali. Non potrà più essere accessibile a richiedenti asilo, tra i quali anche disabili, anziani, donne gravide, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, chi ha subito torture o stupri o mutilazioni genitali. Immaginiamoli uno per uno, i volti e i corpi di questi esclusi.

Questa repressione generalizzata, questa riduzione a caste di chi calca il territorio italiano, ripristina il diritto di sangue, teorizza cittadini di prima e seconda serie, inserisce la discriminazione come norma civile e giunge a fornire un alibi e una grammatica alla pubblica esasperazione, che è in realtà un’incredibile dispercezione, di cui finisce vittima la schiacciante maggioranza degli italiani, capace di credere che l’immigrazione tocchi il 25 per cento della popolazione, quando si attesta al 7 per cento. In una simile misconoscenza della realtà avviene il delitto sociale. Se non si vuole il progresso, si avranno le rivoluzioni. Ma gran parte degli italiani ritiene di farla ora e in questo modo, la rivoluzione: ledendo il diritto alla protezione umanitaria. È un regresso che dà le vertigini. Una delle assillanti ansietà del pensatore consiste nel vedere l’ombra sull’anima umana e tastare nelle tenebre, senza poterlo svegliare, il progresso addormentato. Bisogna sottrarre al sonno della sua ragione il progresso. Svegliamolo: dateci gli stanchi, i poveri, le masse infreddolite desiderose di respirare libere, i rifiuti miserabili delle spiagge affollate, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste. Offriremo loro visti e fraternità, perché possano circolare liberamente sui territori dolcissimi che i nostri padri ci hanno consegnato, non perché fossero nostri, ma perché fossero aperti e miracolosi.

Non è vero che c’è da avere paura, non è vero che il crimine trionfa: sono parole d’ordine del più fetido capitalismo mai apparso sulla faccia del pianeta, all’interno del quale viviamo e respiriamo, senza immaginarne l’estinzione. Che invece è pensabile. È possibile partire da qui: che l’Italia inizi a ritenere che c’è qualcosa di più spaventoso di Caino che uccide Abele, ed è Salvini che uccide il Negro.