Troppe cattive pratiche nel settore: baby modelli tenuti senza acqua per non rovinare il trucco, orari pesantissimi e un compenso di poche briciole. La denuncia nel libro inchiesta di Flavia Piccinni. E in Parlamento adesso c’è chi chiede l’invio nei backstage di ispettori del governo 

Baby modelli in passerella: si rischia lo sfruttamento minorile. E in Parlamento adesso c’è chi chiede l’invio, nei backstage delle sfilate, di ispettori del governo. E’ Riccardo Nuti, parlamentare ex 5 stelle passato al gruppo misto. Il 24 luglio, con un’interrogazione rivolta al Presidente del Consiglio e al Ministro del Lavoro, il deputato ha domandato se non sia il caso di mandare dei controllori dietro le quinte della moda bimbo e ai casting pubblicitari. Troppe ore di lavoro sotto i riflettori, liquidate con la promessa di nuovi lavori, con un paio di leggings omaggio o con paghe inadeguate, sarebbero tra le cattive pratiche del settore, secondo il deputato. Che ha pure invocato “urgenti iniziative” per “scongiurare” che i piccoli vengano lasciati senza acqua, “per evitare che si macchino, si rovinino il trucco o, quel che è peggio, che scappi loro la pipì.

Non è normale, non è accettabile” ribadisce all'Espresso Riccardo Nuti. Che cita le testimonianze raccolte dalla scrittrice Flavia Piccinni, vincitrice di un Campiello Giovani, nel suo ultimo libro-inchiesta “Bellissime. Baby miss, giovani modelli e aspiranti lolite” (Fandango ed.). Da Napoli a Milano, Piccinni si è messa in viaggio per casting e agenzie, fingendosi all’occorrenza mamma di baby modelli, per far luce sulle storture che inquinano la moda per l’infanzia, uno dei settori del nostro Paese che non conosce crisi.

Un giro d’affari miliardario, ma non per i baby modelli
Il childrenswear vale 2,7 miliardi di euro: a tanto ammonta il fatturato del 2016 della moda italiana junior, che include, oltre all’abbigliamento, l’intimo e gli accessori per i bambini da 0 a 14 anni (fonte: Società Moda Italia, su dati Istat, 2016). Un giro d’affari enorme, che si gioca soprattutto nei giorni di Pitti Bimbo, la fiera di riferimento mondiale che si tiene ogni anno alla Fortezza da Basso, a Firenze. “Quest’anno abbiamo avuto più di 500 espositori, il 60per cento  dei quali italiano. Siamo il salone commerciale più importante che esista” spiega all'Espresso Lapo Cianchi, direttore della comunicazione e degli eventi di Pitti Immagine. L’appuntamento attira top buyer da tutto il mondo: dalla Russia alla Corea del Sud, dall’Arabia Saudita all’India, dagli Stati Uniti al Libano, passando per Kazakistan e Kuwait. Una spartizione di commesse piazzate nei cinque continenti che però lascia solo le briciole alle mamme-manager dei baby modelli italiani. “Per due giorni di lavoro - afferma la scrittrice Piccinni - vengono proposti 130 euro, che con il costo dell’agenzia e le tasse diventano 66 euro netti. Per tre giorni invece il brand che paga di più ne propone 300 lordi, e in tasca alle famiglie ne vanno poco meno di 150 netti”. Che finiscono tutti nel viaggio e nell’alloggio a Firenze. Ma da Pitti precisano: “La responsabilità delle sfilate ospitate a Pitti Bimbo, compresi i pagamenti, è della singola azienda, del marchio che fa la sfilata, non di Pitti”.

Mamme competitive e bambine stressate
Ma ai bambini interessa sfilare? “Ho visto bambini che si divertivano e altri che erano stressati. Fondamentale è il ruolo del genitore” rivela l’autrice di “Bellissime”. E le mamme – manager sono un vero e proprio incubo anche per gli addetti ai lavori. “Ho visto cose terribili. Ho sentito una mamma che diceva alla figlia: “Quando arrivi lì, spingi un po’ l’anca”… mi sarebbero cadute le braccia. Per fortuna non sono tutte così” continua Lapo Cianchi di Pitti Immagine.
Gioia, 17 anni, toscana, ha i capelli lunghi e lisci e una bocca che sembra disegnata. Dalla quarta elementare fino alla seconda media, ha posato per pubblicità, cataloghi e fatto un paio di sfilate a Pitti Bimbo. “Per le pubblicità – racconta Gioia all'Espresso - mi svegliavo prestissimo e alcune volte mi tenevano fino alle dieci e mezzo di sera, per fare i dettagli delle mani. Per me era uno sfruttamento, decisi di non farlo più, mi stancavo, oltre al fatto che non ci hanno pagato e ci siamo rivolti all’avvocato… ma non ricordo bene, ero piccola. A Pitti Bimbo invece mi sono trovata benissimo, ci davano la merenda, ma c’era troppa competizione, soprattutto tra le mamme, erano allucinanti. Ognuna voleva che la propria figlia stesse in prima fila”.

Ragazzine come sex symbol?
Lo sguardo imbronciato, la bocca socchiusa, mascara e lucidalabbra ed ecco che una bambina viene veicolata come un’adulta maliziosa in miniatura. “Nelle pubblicità, nelle sfilate, nei cataloghi si crea un immaginario dell’infanzia che cade a pioggia su tutti i bambini, anche quelli che non sfilano. Mi chiedo se gli operatori del settore sentano questa responsabilità” dice all'Espresso Flavia Piccinni, autrice di “Bellissime”. Da Pitti Bimbo fanno sapere che non ci hanno mai pensato in modo approfondito. “Non abbiamo mai pagato un esperto per una consulenza sull’immaginario che trasmettiamo. Però stiamo finanziando una ricerca su moda e infanzia che è in corso all’Università di Bologna, coordinata da Caterina Satta, Senior Post Doc Fellow in Sociologia. A gennaio la presenteremo” fa sapere  Lapo Cianchi. Che precisa: “In Italia per i bambini si punta più sull’abbigliamento sportivo. Sono soprattutto i genitori molto facoltosi della Russia o dei Paesi Arabi che amano vestire i bambini in modo elegante, una versione mini di loro stessi”.