Roma ha voluto gli sbarchi sulle nostre coste. E ha avuto molto denaro in cambio. Ma lo ha speso in modo discutibile

Una vittoria di Pirro. Così dovrebbe essere realisticamente essere inteso il risultato ottenuto dall’Italia martedì 11 luglio in sede Frontex alla richiesta di revisione dell’operazione Triton: è stato infatti concordato con il vertice dell’Agenzia che sarà stabilito senza ritardi un gruppo di lavoro per identificare ulteriormente ed elaborare cosa deve essere rivisto nel concetto operativo di Triton alla luce delle decisioni già raggiunte a livello politico a Tallinn sul piano della Commissione Ue.

E dal vertice di Tallinn sono uscite tre regole: codice per le navi delle Ong, centro di coordinamento migranti da aprire il Libia, inasprimento sul rilascio dei visti.

La posizione dell’Italia su Triton è chiara da tempo: vuole una modifica per regionalizzare la missione ovvero far sì che le navi della missione attracchino anche in altri porti europei oltreché in Italia.

Ma un “nulla di fatto” era prevedibile oltre che ragionevole. Nel 2014, l’Italia del governo Renzi ha fortemente voluto e sottoscritto un trattato in sede Ue che prevedeva che la missione Triton fosse assegnata all’Italia. Lo ha ribadito molto bene proprio martedì 11 la portavoce di Frontex: «Il piano operativo di Triton afferma che l’Italia è il Paese ospitante della missione. Se qualche altro Stato volesse aggiungersi, da un punto di vista teorico la possibilità ci sarebbe. Ma mi pare uno scenario molto complicato, anche perché le attività sono tutte guidate dalla Guardia Costiera italiana».

Tutte le attività di Triton sono infatti coordinate dalla Guardia Costiera italiana, che decide come distribuire le imbarcazioni. Su tutte le navi e su tutti gli elicotteri che partecipano all’operazione, poi, sono sempre presenti ufficiali italiani. Triton non funziona in modo autonomo, ma è come se operasse per conto dei confini italiani. Nell’Allegato numero 3 del piano operativo di Triton è riportato che «le unità partecipanti alla missione sono autorizzate dall’Italia a sbarcare nel proprio territorio tutte le persone intercettate e arrestate nelle sue acque territoriali, nonché nell’intera area operativa oltre le sue acque territoriali», che le persone salvate devono essere «portate in un posto sicuro in Italia» e che «nessuna delle persone salvate (…), anche fuori dall’area operativa, può essere fatta sbarcare sul territorio di un Paese Terzo». Inoltre le imbarcazioni degli Stati membri dell’Unione Europea che partecipano all’operazione Triton nel Mediterraneo centrale «intervengono solo su richiesta delle autorità italiane».

Peraltro Triton funziona esattamente come le altre operazioni gemelle in Spagna (Hera, Indalo e Minerva, ndr) o in Grecia (Poseidon, ndr). Ogni operazione ha un Paese che la ospita, nel caso di Triton è l’Italia: così è stato deciso così nel momento in cui è stata avviata nel 2014.

Va peraltro sottolineato che Triton, che ha sostituito l’operazione Mare nostrum nel presidio dei flussi di migranti, è iniziata il 1º novembre 2014 e prevede contributi volontari da 15 su 28 Stati membri dell’Ue. Gli Stati che attualmente contribuiscono volontariamente all’operazione Triton sono: Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia, Germania, Paesi Bassi, Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Austria, Svizzera, Romania, Polonia, Lituania e Malta.

Il suo bilancio è stimato a 2.900.000 euro al mese. E se l’Italia ha dato un ingente contributo economico alle missioni e a Frontex in primis, ha anche avuto molto in cambio: decine di milioni di euro per l’affitto dei propri mezzi navali all’Agenzia, ragione per cui la Corte dei conti europea ha più volte “richiamato” Frontex per queste spese, notando che in molti casi si sarebbero risparmiati parecchi soldi affidandosi a una gara tra privati anziché ai mezzi militari. Un esempio è la sorveglianza aerea che, affidata a privati, ha visto scendere i costi da 5.700 a 2.300 euro l’ora.

Non solo, ma nonostante le continue lamentele italiane a Bruxelles, in questi anni i fondi che l’Italia ha ricevuto per la gestione dei flussi migratori sono stati ingenti.

I fondi di emergenza a favore dell’Italia messi a disposizione dalla Commissione Ue ammontano a 38,2 milioni di euro, di cui 13,5 milioni di euro al ministero dell’Interno per sostenere progetti volti a rafforzare il controllo delle frontiere, i servizi sanitari, i percorsi di mediazione linguistica e interculturale, cui si aggiungono altri 2,5 milioni di euro per interventi rivolti ai minori non accompagnati; 16,7 milioni di euro al ministero della Difesa e 5,5 milioni di euro alla Guardia costiera per migliorare le operazioni di controllo e salvataggio in mare. Gli aiuti si aggiungono ai 592,6 milioni di euro già assegnati all’Italia tramite i programmi nazionali supportati dall’Isf e dall’Amif (quando la Francia ne ha visti assegnati 20 e il Regno Unito 27). A questi si aggiungono le risorse relative ai programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali e di investimento europei per il periodo 2014-2020, di 280 milioni di euro, per attività di trattenimento, accoglienza, inclusione e integrazione degli immigrati, oltre quelle già stanziate nella e pari a 320 milioni di euro per il 2017 (come da legge di bilancio 2017).

Da non sottovalutare poi i fondi Ue pari a circa 15 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 assegnati al Programma di finanziamento per i progetti nell’ambito della politica europea di vicinato (Eni) e gli altri 19 miliardi di euro assegnati allo Strumento per la cooperazione allo sviluppo (Dci 2014-2020.) ai quali l’Italia può attingere. Senza contare gli altri programmi di finanziamento a cui l’Italia può partecipare e attingere nell’ambito dei fondi a gestione diretta come quelli volti alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2020 (molto rifocalizzata su immigrazione e accoglienza).

Ed è di qualche giorno fa da parte di Bruxelles un nuovo finanziamento in arrivo a Roma per 58,21 milioni di euro, con l’invito a spenderli da subito in accoglienza, assistenza sanitaria, legale e materiale dei migranti in questa nuova estate di arrivi.

Ciò nonostante, l’Italia pare non riesca a gestire quella che impropriamente continua a chiamare “emergenza” migratoria. In particolare è da sottolineare l’inefficienza nella gestione e la mancata creazione degli hotspot prevista dall’Agenda Europea sulle migrazioni, come risulta dalla relazione della Corte dei Conti europea dello scorso aprile, che evidenzia peraltro come al momento dell’audit, non fosse ancora disponibile alcuna relazione sull’utilizzo di detti fondi di emergenza per gli hotspot da parte dell’Italia.

Stando ai dati forniti dall’Unhcr, nel 2016 i migranti arrivati in Italia sono stati 181.405 contro i 153.843 del 2015.
Nel 2015 la Germania ha accolto circa un milione di migranti, la cifra più alta d’Europa sia in termini relativi che assoluti, ed è tra i sei stati su ventotto dell’Unione Europea che si sono presi carico di quasi l’80 per cento delle richieste d’asilo presentate in tutta Europa e nel 2016 il flusso di immigrati in entrata è stato dell’ordine di 14 mila persone al mese. I numeri parlano da sé.