L'ente pubblico nel 2010 ha chiesto a Bnl di risarcire danni per 9,4 milioni sui prodotti finanziari ad altro rischio che hanno creato debiti fuori 'bilancio'. Ma il Tribunale non ha ancora stabilito chi ha ragione
Anna Maria Raschellà. Pietro Carè. Antonio Scalera. Eleonora Presta. Maria Renda... Se il Tribunale di Catanzaro decidesse di fondare una squadra mista di basket, potrebbe togliersi lo sfizio di mandare in campo come quintetto base i giudici che, negli ultimi anni, si sono dovuti occupare di un processo civile che sembra non voler finire mai. La causa contrappone la
Regione Calabria alla
Bnl, ed è iniziata nell’ormai lontanissimo 2010, quando l’ente pubblico decise di chiedere a un gruppo di banche internazionali il risarcimento dei danni subiti per una serie di prodotti finanziari ad alto rischio, chiamati
derivati.
Da allora è successo di tutto. A livello nazionale sono cambiati cinque premier, e la Calabria ha tenuto quasi lo stesso ritmo, con quattro presidenti regionali. Dal punto di vista tecnico, la fase istruttoria del procedimento è terminata nel dicembre 2014, quando gli avvocati di Regione e Bnl hanno depositato le “comparse conclusionali”, le loro argomentazioni finali.
In teoria manca solo il giudizio, che stando alle indicazioni del codice di procedura civile doveva arrivare «entro sessanta giorni» (articolo 190 bis), e cioè entro il marzo 2015, se si considerano i festivi. Invece niente.
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L’attesa si è prolungata in modo abnorme. Dall’iscrizione del caso in cancelleria sono passati più di 2.600 giorni, cinque volte gli oltre 500 giorni della durata di un processo civile in Italia, una media che già rende il nostro Paese uno dei peggiori d’Europa (in Germania si fa tutto in 200 giorni). Perché? Leggendo gli atti e interpellando i protagonisti, è legittimo farsi un’idea: quando ci sono di mezzo questioni tecniche complesse, come i derivati finanziari, anche per i magistrati diventa arduo decidere. Se poi ci si mettono i machiavellismi della burocrazia e un pizzico di sfortuna, si comprende perché il caso “Calabria versus Bnl” è stato rimpallato fra cinque diversi giudici, trasformandosi in un pantano giudiziario.
E dire che, per una volta, gli uffici pubblici si erano dati da fare per tempo. Era stato infatti un dirigente della Regione,
Luigi Bulotta, a rendersi conto che in quei contratti - sottoscritti tra il 2003 e il 2007 dalle giunte di Giuseppe Chiaravalloti e Agazio Loiero - qualcosa non andava. Ricorda Bulotta, che ora è in pensione: «Con il passare del tempo, i derivati presentavano degli esborsi di cassa crescenti, che assorbivano risorse non previste dai bilanci previsionali della Regione. Si era creato così un debito “fuori bilancio”, che iniziava a mettere in allarme anche la Corte dei Conti».
Nel 2009 Bulotta, nominato dirigente generale del dipartimento bilancio, convince la giunta che occorre intervenire. Viene incaricato un legale con una forte esperienza in contenziosi sui derivati, Daniele Portinaro dello studio milanese Elexia, che effettua un’analisi dei contratti firmati dalla Regione con quattro banche, la svizzera Ubs e l’italiana Bnl, la giapponese Nomura e la tedesca Dresdner, che sarà poi assorbita da Commerzbank.
Ne emerge un quadro preoccupante: i contratti prevedono spesso costi non esplicitati e formule di calcolo molto complesse, che ne accentuano il carattere speculativo e li rendono inadatti a garantire i fini dichiarati di copertura dai rischi di mercato. Nel frattempo, la questione s’infiamma anche sul fronte penale: un’indagine avviata dal pm milanese Alfredo Robledo e poi condotta in Calabria fa emergere che Nomura ha versato a una società offshore riconducibile a un consulente della Regione una commissione di tre milioni di euro. Una «dazione di denaro a titolo di corruzione», recita l’accusa, che avviene proprio nell’ambito dei derivati sottoscritti dalla banca giapponese con l’ente calabrese. E che, quando viene scoperta, fa partire un procedimento penale.
Manco a dirlo,
le perdite potenziali registrate dalla Regione con Nomura sono le più ingenti del pacchetto di derivati sottoscritti con le quattro banche: 32,3 milioni, su un totale di 52,4, stando alla perizia firmata dall’avvocato Portinaro. Di qui le richieste di risarcimento contenute nella citazione per danni, che la Calabria deposita al Tribunale di Catanzaro il 13 aprile 2010. Già la fase istruttoria va avanti con qualche lentezza, che però appare comprensibile.
Le tre banche internazionali, infatti, dopo qualche tempo decidono di chiudere una transazione con la Regione.
La prima è proprio Nomura, che versa 24 milioni di euro, seguita da Commerzbank, che si accorda per 1,2 milioni, e infine da Ubs, che ne riconosce 3,5.
Decide invece di tener duro Bnl, l’unica banca italiana del quartetto, pur se controllata dalla francese Bnp Paribas. Il ruolo dell’istituto romano non è marginale: fin dal 2001, infatti, aveva ottenuto assieme a Ubs l’incarico di consulente finanziario della Regione, impegnandosi fra l’altro a «fornire senza oneri il proprio supporto per la gestione attiva del debito», a «installare negli uffici regionali appositi sistemi di calcolo» per la valutazione dei rischi, a impartire «corsi di formazione ai funzionari regionali dedicati a gestire attivamente il debito».
Bnl e Ubs, però, non si erano limitate a fornire consigli ma con la Regione avevano anche sottoscritto diversi contratti, l’analisi dei quali aveva fatto emergere le perdite individuate nella perizia dell’avvocato Portinaro. Anche di qui i danni chiesti a Bnl nella citazione: 9,4 milioni. Da allora, spiega Filippo De Cello, l’attuale dirigente regionale del bilancio, i derivati con la banca capitolina sono stati chiusi, dato che nel 2014 la Calabria ha scelto di estinguerli, versando all’istituto oltre 892 mila euro. Resta, ovviamente, la richiesta di risarcimento: in caso di vittoria in tribunale i quattrini aiuterebbero la Regione a sostenere il pagamento delle rate dei mutui sottoscritti con altri creditori.
Una volta uscite dal processo civile le tre banche straniere, ci si sarebbe potuti aspettare che il giudizio arrivasse in tempi più rapidi. Nella primavera del 2014 il giudice che seguiva inizialmente il caso, Anna Maria Raschellà, si trasferisce però prima alla sezione penale, poi in Corte d’Appello, e viene sostituita da Pietro Carè. Pure il sostituto è temporaneo, perché Carè dopo alcuni mesi passa alla sezione Gip. Siamo ormai al 20 novembre 2015, quando nel ruolo di giudice unico subentra Antonio Scalera, il cui mandato dura lo spazio di un inverno. Nei primi giorni dell’aprile 2016 anche Scalera cambia infatti ufficio, salendo pure lui in Corte d’Appello. La causa passa così nelle mani di due giudici onorari: la prima è Eleonora Presta, che il 17 maggio 2016, dopo poche settimane, lascia il fascicolo a Maria Renda.
Da allora, più nulla.
«In effetti tanti cambiamenti non capitano spesso», spiega a L’Espresso Giuseppe Valea, che a Catanzaro guida la seconda sezione penale e che, visto il prossimo pensionamento del titolare dell’ufficio, da due mesi ricopre come vicario le funzioni di presidente dell’intero Tribunale. Valea spiega che in genere nella città calabrese i processi civili durano «in media tre anni» e che il caso Regione-Bnl rappresenta «una sfortunata eccezione». Il magistrato racconta che il Tribunale di Catanzaro ha un organico di 40 magistrati, che verrà presto portato a 56 per sopperire a quella che definisce «una cronica carenza». I primi dodici magistrati sono attesi a novembre. Sui tempi di conclusione della vertenza Regione-Bnl non può però sbilanciarsi, visto che l’ultimo giudice incaricato sta valutando se avvalersi di una consulenza. L’attesa non è finita.