La Procura ha costretto il colosso social a fornire i dati anagrafici del titolare del profilo che tre anni fa aveva postato il tweet vergognoso:  «Finocchio di merda, stasera sei invitato a cena... porta anche i tuoi amichetti, mi raccomando». Cerno: «È stata una battaglia di civiltà». Grillini: «Per la prima volta i social cedono contro l'anonimato»

Ha un nome ed è indagato dalla procura della Repubblica chi minacciò di morte nel giugno 2014 con insulti omofobi il giornalista Tommaso Cerno, oggi direttore del settimanale l’Espresso. Da un profilo anonimo con il nick @loculo il 24 giugno di tre anni fa aveva inviato questo tweet: «Finocchio di merda, stasera sei invitato a cena... porta anche i tuoi amichetti, mi raccomando». In allegato la foto di un tavolo imbandito coi cappi da impiccato.

Una minaccia che aveva scatenato la solidarietà della Rete con migliaia di messaggi di vicinanza a Cerno, da esponenti politici di destra e sinistra, colleghi, attivisti e semplici cittadini. E che era diventata poche settimane dopo un caso giudiziario. Il giornalista aveva presentato un esposto chiedendo a Twitter di rivelare il nome del titolare del profilo. Una richiesta che ha aperto una complessa vicenda tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove Twitter ha sede legale, che aveva portato a due richieste di archiviazione alle quali il giornalista e il suo legale avvocato Carlotta Campeis si sono opposti. Fino ad ottenere ieri la vittoria che attendevano da due anni.



La Procura ha infatti costretto il colosso social a fornire i dati anagrafici del titolare del profilo che risulta indagato. Si tratta di un cittadino italiano residente in provincia di Cremona su cui ora si sposta l’attenzione degli inquirenti.

«Questa battaglia di civiltà in un momento in cui profili anonimi e troll inquinano la Rete e le sue enormi potenzialità con messaggi di odio, omofobia e razzismo, segna un cambio culturale non tanto per me e per la mia vicenda di singolo quanto per le migliaia di persone che subiscono ogni giorno insulti e offese celati da nomi di fantasia» ha commentato oggi Cerno. «Quanti insulti così gravi colpiscono ragazzi gay ogni giorno, e loro non possono o non hanno il coraggio di denunciarli? Per tutte queste persone violenze del genere sono un tormento quotidiano, una ferita profonda che non si può rimarginare».

«E' stato un ottimo risultato - spiega l'avvocato Campeis - viste le difficoltà incontrate nell'acquisizione dei dati da Twitter, a ragione di regolamenti e politiche eccessivamente garantiste della privacy, giungere, a seguito di due richieste di archiviazione, all'individuazione di un soggetto responsabile. Questo è il primo passo, indispensabile per svolgere ulteriori accertamenti, e perseguire autori di reati ormai molto diffusi e di spiccata gravità».

«E' una grande vittoria dalla forte valenza simbolica» - ha commentato Franco Grillini, presidente di Gaynet - «soprattutto perché è la prima volta che i social cedono e danno il nome di chi ti minaccia. Sia Twitter che Facebok sono refrattari a far uscire gli utenti dall’anonimato. Ma le minacce sono reato e non rivelare i nomi non solo è profondamente sbagliato ma anche di dubbia legittimità Il fenomeno dell’odio su internet, gli insulti, le calunnie, sono sempre più frequenti perché nascosti dietro a una tastiera ti sembra di essere padrone del mondo. E l’omofobia, l’attacco e la non sopportazione della diversità trova in Rete il suo megafono. Ma questa tendenza va combattuta con forza».

Ora la procura di Udine, dove era stato depositato l’esposto, ha trasferito per competenza ai colleghi lombardi tutti gli incartamenti.