Partiti che arrancano. Equilibri fragili. Outsider in corsa. E, sullo sfondo, l’ultimo attentato. Il voto per l’Eliseo è una metafora di tutto il Continente. E può deciderne il destino

Questa è, probabilmente, anzi: sicuramente, l’elezione presidenziale più incerta e imprevedibile di cui ci sia memoria, in Francia. I sondaggi degli ultimi giorni, infatti, propongono ancora un equilibrio sostanziale fra quattro candidati. François Fillon, leader dell’Rpr, partito neo/post-gollista. Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie, leader del Front National, erede del regime collaborazionista di Vichy e, per questo, fino a qualche anno fa, impresentabile, come soggetto politico “presidenziale”. Quindi, Emmanuel Macron giovane tecnocrate di 39 anni, a capo di un movimento politico, “personale”: En Marche! Non per caso, le sue stesse iniziali. Fondato un anno fa, si propone di andare oltre la destra e la sinistra. Non “centrista”, ma “centrale”. Infine, Jean-Luc Mélenchon, il candidato di France Insoumise, il Fronte della sinistra (radicale).

Gli ultimi sondaggi valutano questi 4 candidati intorno al 20%, ma si tratta di stime instabili. Che, nell’ultimo mese, hanno subìto variazioni sensibili, a conferma dell’assoluta incertezza della Presidenziale. (Suggerisco, al proposito, di consultare Présidentielle2017 , la puntuale newsletter di Francesco Maselli). Fino a un paio di settimane fa, infatti, Macron sembrava essere pre-destinato al successo. Anche se la quota degli “incerti”, fra i suoi elettori, è sempre apparsa elevata. Mentre Fillon, penalizzato da una serie di “scandali familiari” (legati a finanziamenti illeciti ottenuti dalla moglie) risultava fuori gioco. Oggi non è più così.

Il clima di insicurezza generale ha rimescolato le carte e confuso gli orientamenti degli elettori. Così Fillon sembra rientrato “in gioco”. E Marine Le Pen non appare più “fuori gioco”. Predestinata, cioè, alla sconfitta finale. In grado di intercettare consensi ampi, al primo turno, ma non ai ballottaggi. Come alle Régionales del 2015. Com’è capitato, soprattutto, a suo padre, arrivato al secondo turno, nel 2002, per poi essere “travolto”, da Chirac. Votato da tutti gli “altri” (complessivamente, oltre l’82%). Anche da coloro che non avevano votato al primo turno. (Al ballottaggio, infatti, si recarono alle urne 2 milioni e mezzo di elettori in più rispetto al primo.)

L’impressione, invece, è che Marine Le Pen sia stata “sdoganata”. Anche perché gli altri concorrenti politici l’hanno presa sul serio. Non l’hanno “demonizzata”. Nei confronti pubblici, anzitutto in tv: non hanno dato per scontato che si trattasse di un(a) competitor impresentabile.

Il fatto è che in Francia, come e più ancora che negli altri contesti europei, il cambiamento politico degli ultimi anni risulta eclatante. Le divisioni e le alternative politiche “tradizionali”, infatti, appaiono superate, se non finite. È sufficiente, al proposito, fare riferimento all’unico candidato e all’unico partito, fra quelli storici, fin qui non ancora citato. Nominato. Benoît Hamon, vincitore delle primarie - e quindi candidato - del Partito Socialista. Valutato dai sondaggi, “fuori gioco”. Al di sotto del 10%. Per un leader socialista, impensabile, almeno fino a pochi anni (mesi?) fa. Vale a dire prima della presidenza di François Hollande. Uno spartiacque (tragico) per qualsiasi ambizione socialista. Prima, appunto, l’unica alternativa possibile era, fra Ps e Rpr. Socialisti e Repubblicani (Neo e post-gollisti). Con i “centristi” dell’Udf a giocare la loro partita, soprattutto a favore dei Républicains. O, comunque, contro gli eredi del regime di Vichy.

Ma oggi quella storia pare finita. Socialisti e post-gollisti, innanzitutto, non sono più quelli di prima. I loro candidati, infatti, esprimono e rappresentano posizioni molto marcate. A sinistra e a destra. Non per altro Mélenchon, a sinistra, ha trovato, fin qui, tanto spazio. Perché è sicuramente di “sinistra”, molto più di Hamon. Il quale, a sua volta, appare troppo di sinistra, ai socialisti riformisti. D’altra parte, Fillon è fin troppo “sovranista” per non liberare flussi di voti moderati verso l’europeista Macron e il suo movimento. Il “Centro” della politica allargato ai “centristi”, per usare il linguaggio di Macron. Sostenuto, peraltro, da François Bayrou e dall’UdF.

Lo stesso Macron sembra aver perduto la spinta propulsiva. Perché tirare la corsa tanto a lungo: è faticoso. Tanto più se non hai, alle spalle, una storia, un’organizzazione, una rete di sindaci e di amministratori, radicati sul territorio. E poi, l’ambivalenza politica e sociale che lo caratterizza comincia a porgli qualche problema di credibilità, dopo averlo favorito. Macron: banchiere del sistema Rothschild ma anche consigliere di Hollande e, quindi, ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale nel Governo socialista guidato da Manuel Valls. Fino alla vigilia della campagna elettorale. Rischia di apparire “incolore” oppure “multicolore”. Comunque, troppo in-definito, a destra e a sinistra. Se, com’è (molto) possibile, riuscisse a conquistare il ballottaggio, non è detto che riuscirebbe a intercettare il voto degli elettori socialisti e Républicains, in funzione anti-lepenista.

Per questo l’elezione presidenziale francese diventa importante per l’Europa, oltre che per la Francia. Perché segna un mutamento “radicale” nelle famiglie politiche che hanno orientato le tendenze e le alternative politiche, tradizionali ma anche recenti. Destra e sinistra, in Francia: repubblicani e socialisti, oggi non hanno più lo stesso significato, né lo stesso spessore di ieri. Anzitutto, perché i socialisti riformisti oggi sono in crisi e quelli radicali hanno perso capacità competitiva. Indeboliti ed erosi da alternative sicuramente più radicali. Mentre, dall’altra parte, i Républicains appaiono fin troppo sovranisti. Fillon, non per caso, ha dichiarato che l’Europa è «opera degli Stati e delle nazioni». Che «devono avere l’ultima parola rispetto all’apparato di Bruxelles». Ma, in questo modo, Fillon rischia di apparire meno “alternativo” rispetto al Fn di Marine Le Pen.

Lei sì apertamente anti-europea. E, per questo, oggi, meno isolata, meno estranea al clima politico nazionale. In un’epoca nella quale lo scetticismo verso l’Euro e verso l’Europa politica - mai realizzata - è sempre più diffuso. In Francia, e non solo. In tempi tanto insicuri. Segnati dalla minaccia terrorista - che ha già colpito pesantemente la Francia. Ma anche dall’emergenza migratoria. Non per caso, (secondo l’Osservatorio sulla percezione della sicurezza in Europa, curato da Demos e dall’Osservatorio di Pavia per la Fondazione Unipolis) solo il 6% dei francesi vorrebbe mantenere la libera circolazione alle frontiere, prevista dal trattato di Schengen, mentre il 54% auspica di ripristinare i controlli. Sempre.

Questo profilo instabile e confuso potrebbe divenire più instabile e confuso tra un mese, quando si svolgeranno le elezioni legislative. Senza favoriti, senza maggioranze certe. Con queste premesse, è facile prevedere un futuro incerto, per la Francia. Che mai, come oggi, appare véritable miroir, specchio fedele. Dell’Europa. Dell’Italia. Il problema, è che la Francia non ha le physique du rôle. Non c’è abituata. A muoversi senza riferimenti e itinerari precisi. Tanto meno: prevedibili. Non sono mica come noi, italiani. Professionisti dell’arte di arrangiarsi…