La rete del commercio illegale è l'ultima frontiera dello sfruttamento, che segue anche il flusso dei migranti. Chi compra appartiene a quella parte del mondo che si può permettere tutto, compreso il silenzio connivente. Eppure non si può accettare che chi ha di più cancelli ogni legge morale, sfruttando altri esseri umani per il proprio benessere personale

Il gesto più bello del mondo, un atto di generosità estrema tra un essere umano che perde la vita e un altro, ammalato, che ?la riacquista grazie alla donazione di organo. Quando si salva un bambino con una malformazione cardiaca o una ragazza con un’epatite fulminante grazie alla donazione accade qualcosa di meraviglioso. E i progressi medici sono ormai così consolidati da rendere il trapianto un intervento salvavita ma soprattutto duraturo nel tempo. La sopravvivenza a un anno dal trapianto arriva al 90 per cento per il cuore e il fegato ?e addirittura al 98 per cento dopo la sostituzione di un rene.

Un successo frutto del grande impegno di operatori sanitari ?e associazioni che da decenni sperimentano innovazioni mediche e farmacologiche e animano campagne per incrementare la donazione permettendo a un numero ?sempre più alto di pazienti di curarsi.

In parallelo a tanti sforzi positivi si è sviluppata purtroppo la rete del commercio illegale: il sistema sempre più organizzato ed efficiente del traffico di organi. Sono coinvolti broker internazionali che fanno da tramite tra le strutture clandestine dove si eseguono i trapianti, i pazienti che intendono acquistare un organo e chi è disperatamente povero al punto di venderlo. L’ultima frontiera dello sfruttamento dei diseredati segue anche il flusso dei migranti. In Libia i broker lavorano con sedicenti ONG per avvicinare persone che non hanno ?il denaro per pagare un passaggio in mare e propongono loro ?di vendere un rene in cambio di un posto su un barcone.
Di fronte a tutto ciò non è ammissibile l’indifferenza. ?Ma come spezzare la catena che rende possibile questo crimine contro l’umanità?

A mio modo di vedere intervenendo a valle del crimine, ovvero con i medici curanti e i pazienti.

Dopo un trapianto, infatti, ?è necessario assumere per tutta la vita i farmaci immunosoppressivi per prevenire il rigetto. Chi prescrive la terapia deve avere accesso alla cartella clinica del trapiantato e se quel documento manca o è lacunoso, oppure se proviene da sconosciuti centri clinici indiani o egiziani, per fare un esempio, qualche dubbio sulla provenienza dell’organo ?è lecito. Come mai ciò non avviene? I medici sostengono ?che il loro dovere è curare e non denunciare. ?Verissimo, infatti nonostante tutto, anche una persona ?che ha comprato un rene in India o in Pakistan avrà comunque i farmaci per sopravvivere. Ma forse dovrebbe anche essere segnalato alle autorità.

Il ragionamento sembra semplice ma non lo è per nulla, ?perché chi compra un organo appartiene a quella parte del mondo che si può permettere tutto, compreso il silenzio connivente, mentre chi lo vende non conta nulla.
Eppure non si può accettare che chi ha di più, nonostante ?sia malato, cancelli ogni legge morale, sfruttando altri esseri umani per il proprio benessere personale.

Di tutto questo si è discusso all’inizio del mese in un convegno organizzato in Vaticano dalla Pontificia Accademia delle Scienze, durante il quale è stato sottoscritto un documento che chiede l’impegno di governi e operatori sanitari di tutto il mondo nel contrastare un crimine che va perseguito ovunque. Un documento accettato anche dalla Cina dove, nonostante ?la legge lo proibisca dal 2015, vi sono testimonianze che gli organi siano ancora oggi prelevati dai condannati a morte e destinati a facoltosi pazienti in attesa di trapianto. Una presa di posizione contro l’inerzia di tanti governi che faticano ?ad approvare leggi rigide affinché il traffico degli organi ?sia contrastato non solo a parole ma nei fatti.