Mentre l'inchiesta sulla spartizione dei posti nelle Università scuote il mondo accademico, l'Espresso scopre una raccomandazione diretta all'ex ministro Fantozzi da parte di un potente barone. Che dimostra come il sistema duri da decenni

La spartizione delle cattedre universitarie a tavolino, arrivando perfino a corrompere le commissioni come sostiene la procura di Firenze nella sua indagine sul mondo del diritto tributario, forse non è solo un male dei giorni nostri, ma affonda nella prima Repubblica. Quella del Caf (Craxi Andreotti Forlani) inossidabile al potere e della Milano da Bere, spazzata via da Tangentopoli.

Almeno questa è l'impressione che si ha leggendo una lettera, che L'Espresso ha potuto consultare in esclusiva, tra due dei protagonisti dell'indagine penale fiorentina: Augusto Fantozzi e lo scomparso Victor Uckmar, i due pesi massimi del diritto tributario in Italia.

«Caro Augusto, in relazione all'attribuzione della cattedra di diritto tributario a Siena, ti preciso – cosa che d'altronde ti è già nota – che il dottor Lovisolo non è giuridicamente in grado di assumere la supplenza, ai sensi dell'articolo 114 del dpr...perché ha veste giuridica di 'contrattista'... Il dott.Lovisovo può tuttavia vedersi attribuito l'insegnamento, ai sensi dell'articolo 116, assumendo la veste giuridica di 'professore a contratto'...».

È Victor Uckmar a prendere carta e penna per vergare al “caro” Augusto Fantozzi i suggerimenti su come poter attribuire al suo allievo un insegnamento presso l'antico ateneo toscano, perché “meritevole” di essere “sistemato”.

Siamo nel 1980 - la lettera è datata 16 ottobre - ed è su carta intestata dell'Università di Genova, ma il suo contenuto suona decisamente attuale con quello dell'inchiesta della procura di Firenze. Che vede tra gli indagati, come si diceva, proprio Fantozzi, il quale, scherzosamente, parlava della necessità di «una nuova cupola» di persone «di buona volontà» che si sostituissero di fatto ai commissari per le abilitazioni nelle cattedre universitarie. Oltre all'ex ministro dei governi Dini e Prodi, nonché attuale Rettore dell'Università Giustino Fortunato di Benevento risultava indagato anche Uckmar, com'è emerso dagli atti, ma la sua dipartita nel dicembre dello scorso anno lo ha sollevato dall'incombenza di doversi difendere dalle pesanti accuse di corruzione mosse ai 59 accademici finiti nelle indagini dopo la denuncia di Philip Laroma Jezzi.

Nella lettera Uckmar detta la strategia per arrivare alla nomina senese di Antonio Lovisolo, suo allievo prediletto, attualmente professore a Genova nonché titolare di uno dei più importanti studi tributari d'Italia, ma non indagato nell'inchiesta fiorentina. Innanzitutto, dice, bisogna che non venga prorogato il vecchio professore, poi che nessuno “stabilizzato” faccia domanda per una supplenza, e poi che la «facoltà deliberi l'attribuzione dell'incarico a un professore a contratto, designato nella persona del dott. Lovisolo... che sarebbe poi sottoscritto dal Rettore» scrive Uckmar, sottolineando che la strada intrapresa è “ad hoc” per sistemare qualche giovane “meritevole”. «Come vedi, quindi, la possibilità di sistemare il mio allievo non manca, certo occorre un po' più di impegno da parte di tutti, di quanto non richiederebbe un certo conferimento di supplenza» si congeda l'ex professore genovese.

Come andò a finire allora lo si vede leggendo il curriculum vitae pubblicato dal Antonio Lovisolo sul sito internet del suo studio: «Negli anni accademici 1980/1981, 1981/1982 e 1982/1983, Antonio Lovisolo ha rivestito la qualifica di professore a contratto di Diritto finanziario presso la facoltà di Scienze economiche e bancarie dell'Università di Siena». Il trampolino di lancio di una lunga carriera universitaria che lo ha (ri)portato fino a Genova.

Trentasette anni fa il metodo di assegnazione delle cattedre somiglia a quello quello tratteggiato oggi dai pm fiorentini, criteri che appaiono simili e gli stessi personaggi di vertice nel mondo tributario che come una “cupola” assegnava posti per cooptazione, sfruttando bene i cavilli normativi per evitare le barriere delle commissioni ministeriali di abilitazione. Cambia solo il linguaggio, meno sguaiato di quello che ci ha consegnato la cronaca di quest'indagine portata svolta dalla Guardia di Finanza e coordinata dai pm Luca Turco e Paolo Barlucchi, che vede in questi giorni il susseguirsi degli interrogatori di garanzia per tutti i docenti sottoposti a misure cautelari.

Peraltro proprio dalle cronache del 1980 emerge qualche altro indizio che le pratiche nel mondo accademico del diritto tributario – ma non solo in quello - già da allora non fossero così limpide. In una interrogazione parlamentare del novembre 1980, l'onorevole pugliese Stefano Cavaliere, avvocato dal passato monarchico poi confluito nella Democrazia Cristiana, si rivolgeva così al ministro dell'Istruzione: «Scandaloso deve definirsi l'operato della commissione del concorso a cattedre di diritto tributario. Qui si è partiti male con la formazione della commissione, perché dei cinque membri tre erano allievi del professor Victor Uckmar, di cui due appartengono allo studio professionale dello stesso professore. È stato così possibile spartirsi le cattedre tra i protetti dei capi scuola … accontentare un notaio o qualche figlio di industriali cliente di questo o di quel caposcuola, senza preparazione scientifica e primi di esperienza didattica. Nei verbali si legge che questa commissione si sarebbe riunita presso la facoltà di economia e commercio dell'Università di Roma, mentre svolse i lavori in una camera dell'hotel Excelsior di cui era ospite anche il professor Uckmar che, al termine di questa nobile impresa, offriva ai commissari un lauto pranzo».

Cavaliere in quell'interrogazione parlava di risultati scandalosi dell'operato di quelle commissioni che «meriterebbero il vaglio della magistratura penale». A trentasette anni di distanza quel vaglio è arrivato, e l'impressione è che da quell'anno ad oggi poco sia cambiato.

Nel frattempo gli indagati smentiscono le accuse loro rivolte. Lo ha fatto anche Augusto Fantozzi, per bocca del suo avvocato Antonio D'Avirro, secondo il quale il professore, ex commissario di Alitalia, è «completamente e indubitabilmente estraneo ai fatti in contestazione in primo luogo perché era già andato in pensione all'epoca degli avvenimenti oggetto di indagine. La sua integrità è altresì testimoniata da una limpida e unanimemente apprezzata carriera accademica». Ce lo dirà la magistratura.