Per l'ennesima volta rimandato in Commissione il ddl Falanga. Un disegno di legge che divide. Per Stefano Ciafani di Legambiente è un «messaggio culturale e politico devastante». Ma al sud molti sono favorevoli. All'Espresso parla un attivista campano: «La mia casa una delle pochissime a essere demolita. Basta con l'arbitrio delle procure»

Condono edilizio camuffato o giusta regolamentazione? Il mondo politico non riesce a trovare un accordo sul ddl Falanga. L'aula della Camera ha votato per un nuovo rinvio in comissione e a questo punto si fa più remota la possibilità che la legge venga approvata entro la fine, ormai prossima, della legislatura. Il disegno di legge, promosso dal senatore di Ala Ciro Falanga, punta a rivoluzionare il metodo con cui vengono decisi gli abbattimenti delle costruzioni non a norma, stabilendo che le case abitate devono essere demolite per ultime. Addio, quindi, al vecchio criterio cronologico e benvenuto, di fatto, al concetto di “abusivismo di necessità”. Chi ha costruito senza permessi e vive stabilmente nella propria casa abusiva, insomma, la vedrebbe scivolare in fondo alla lista delle priorità della procura e quindi – dati i tempi della giustizia italiana –potrebbe ragionevolmente sperare che non venga abbattuta mai.

Il disegno di legge ha scatenato l'opposizione delle associazioni ambientaliste e dei Verdi che lo considerano come un vero e proprio condono mascherato. Molte perplessità sono arrivate dalla stessa maggioranza, nonostante i cambiamenti apportati al testo nei vari passaggi parlamentari. A favore della legge, invece, si sono schierati molti amministratori locali meridionali e in particolare campani, alcuni dei quali, due settimane fa, hanno manifestato davanti a Montecitorio, sul fronte opposto rispetto ai Verdi.

In prima linea in difesa della legge Falanga c'è Raffaele Cardamuro, la cui abitazione, costruita abusivamente a Bacoli (Na), è stata demolita nel 2011. «Le ruspe sono arrivate a buttare giù la mia casa pochi giorni prima del Natale» racconta all'Espresso. «Per tutti noi, ma specialmente per la mia bambina, è stato uno shock. Non lo dimenticheremo mai. È importante che tutti capiscano che non abbiamo costruito abusivamente perché ci piaceva farlo, il problema è che se ci rivolgiamo al comune per costruire una casa la risposta è sempre no, perché qui i piani regolatori sono vecchi di cinquant'anni. Le ultime licenze edilizie rilasciate in modo regolare nella mia città risalgono forse a quaranta anni fa. E l'abuso di necessità esiste eccome, io in casa mia ci abitavo con la mia famiglia».

La questione dell'abusivismo edilizio è molto sentita nel Mezzogiorno, dove è da sempre una piaga endemica. Non è un caso che il senatore Falanga, primo firmatario della proposta di legge, provenga da Torre del Greco, comune dell'hinterland napoletano alla pendici del Vesuvio. Secondo i dati dell'Istat, contenuti nell'ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibile, la situazione al sud è allarmante. Nel 2015 le case non a norma supererebbero “ormai largamente il 50% della produzione edilizia legale". In particolare spiccano la Calabria con il 61,8% e la Campania con il valore massimo del 63,3%. Difficile stimare il numero delle costruzioni non a norma, ma secondo il Governatore Vincenzo De Luca, le case abusive in Campania sarebbero circa 70 mila. Proprio il parlamento campano a giugno aveva approvato una legge regionale che indica ai comuni i criteri per bloccare le demolizioni, prevedendo tra l'altro “misure alternative agli abbattimenti” come l'acquisizione dei manufatti abusivi da parte del comune e la successiva vendita agli stessi occupanti. Ma la norma è stata impugnata dal Consiglio dei ministri, su proposta del premier Paolo Gentiloni, perché ritenuta in contrasto con la normativa nazionale.

«La legge Falanga è giusta. Non è un condono – sostiene ancora Cardamuro – stabilisce semplicemente dei criteri certi di azione delle procure. Fino ad oggi questi criteri non sono stati trasparenti, non è vero che vige il principio cronologico. Da quando è stata abbattuta casa mia non è stato demolito quasi nient'altro, anche se la mia città conta quasi cinquemila pratiche di condono, per 26 mila abitanti. Ci sono moltissime sentenze passate in giudicato che non hanno portato a nessuna demolizione. Perché proprio la mia casa è stata abbattuta? Una casa che tra l'altro non era costruita in un'area pericolosa, visto che era a cinquanta metri da una scuola pubblica e da una chiesa? Forse perché io combatto da sempre in prima linea per il diritto alla casa e si voleva fare di me un esempio. C'è stato un arbitrio totale da parte delle procure e dei comuni e questo deve finire. Se per trent'anni abbiamo solo visto costruire senza regole, di fatto con il benestare delle amministrazioni, oggi non ci si può stupire che ci siano centinaia di migliaia di case abusive».

In particolare il testo del disegno di legge fissa dei “criteri di priorità” per le procure per quanto riguarda le demolizioni disposte con una sentenza: ad essere demoliti per primi dovrebbero essere gli abusi edilizi non ultimati e non abitati. Solo dopo, quelli dove vivono stabilmente delle persone. Priorità negli abbattimenti sarebbe data anche agli immobili di rilevante impatto ambientale costruiti su aree demaniali, protette o con vincoli o a rischio sismico. Avrebbero precedenza nelle demolizioni anche gli abusi in aree sottoposte a vincolo ambientale, paesaggistico, sismico, idrogeologico, archeologico o storico-artistico.

Chi si oppone al ddl lo considera ancora più pericoloso di un condono edilizio, perché non prevede limiti temporali alla sua applicazione. Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente, spiega all'Espresso che «il ddl dà un messaggio culturale e politico devastante. Introdurre una graduatoria mettendo per ultimi gli edifici abusivi abitati, dà l'idea di una tolleranza maggiore per il cosiddetto “abusivismo di necessità”. E' una cosa che ci porterebbe indietro di decenni». Fondamentale sarebbe anche il messaggio psicologico. «Ogni volta che si è parlato di condono, anche al solo annuncio, sono aumentate le costruzioni abusive» spiega Ciafani. «Negli anni in cui invece si sono fatti abbattimenti in maniera diffusa sul territorio nazionale, il numero delle costruzioni abusive è diminuito. Le demolizioni di fatto funzionano come deterrente per nuove costruzioni».

Uno dei problemi principali nella lotta all'abusivismo è che demolire costa molto e i comuni spesso non hanno i fondi necessari. Come riconosce lo stesso Ciafani, «nel ddl Falanga c'è anche qualche misura utile, come l'istituzione di un fondo apposito per gli abbattimenti destinato ai comuni. Una volta bocciato il ddl, sarebbe utile, per esempio, inserire questo fondo nella legge di stabilità». Ma il problema non è solo economico. «Serve togliere del tutto ai comuni la competenza per l'abbattimento degli edifici abusivi – spiega ancora il direttore generale di Legambiente – bisogna sottrarre gli abbattimenti e il rispetto della legge al ricatto elettorale. La competenza deve essere dello Stato, che deve agire attraverso i prefetti. L'obiettivo deve essere centralizzare la competenza e snellire l'iter per abbattere».

Solo una minima parte delle demolizioni, infatti, sono ordinate direttamente dalle amministrazioni comunali. Luigi De Falco, architetto, consigliere nazionale di Italia Nostra e già assessore all'urbanistica del comune di Napoli, spiega all'Espresso: «Le uniche demolizioni che si fanno in Italia sono quelle disposte dalla magistratura, è l'azione dei magistrati quella che negli ultimi anni sta sortendo degli effetti concreti». Ed è proprio la perdita di autonomia da parte della magistratura giudicante per quanto riguarda l’ordine da dare alle demolizioni a destare le maggiori preoccupazioni. «All'apparenza il ddl Falanga è una disposizione di carattere puramente organizzativo ma il vero scopo è quello di creare ancora più confusione nel già complicato percorso per arrivare alla demolizione delle opere abusive. L'iter verso le demolizioni si farebbe ancora più lungo e tortuoso».

Ma sul fatto che la situazione attuale sia il frutto di lunghi anni di errori e di lassismo da parte delle istituzioni è convinto anche l'architetto De Falco: «Il problema a monte è la totale assenza di pianificazione urbanistica. Le istituzioni sovraordinate, come le regioni, dovrebbero intervenire laddove i comuni sono di solito inadempienti. Le amministrazioni locali non pianificano, non esaminano le domande di condono, non demoliscono. E allora, è chiaro, rimane solo la magistratura».