La lotta alle emissioni globali prevede una riduzione del 33 per cento entro il 2030. Ma per il governo Renzi si traduce in politiche contraddittorie: sfruttamento di energie fossili, trasporto su gomma e nuovi impianti per l’incenerimento dei rifiuti. Ecco il dossier che analizza gli accordi internazionali e le politiche nazionali

La fine dell’economia fossile, l’epoca delle grandi catastrofi, la lotta al dissesto idrogeologico, l’adattamento ai fenomeni meteorologici sempre più estremi, ma anche dello sviluppo sostenibile legato alla green economy. E ancora: l’esodo dei migranti ambientali e l’insostenibile pesantezza della qualità della vita nelle grandi metropoli.

Tutto ruota intorno ad una grande sfida. La sfida per fermare il cambiamento climatico. Uno sforzo comune pari alla ricostruzione post seconda guerra mondiale.

A un anno dalla firma dello storico accordo di Parigi per ridurre le emissioni globali e combattere il riscaldamento del pianeta, il mondo non sembra essere sul punto di compiere l’accelerazione necessaria a riscrivere i destini climatici del globo e a scongiurare la più grande catastrofe a cavallo tra il Novecento e gli anni “zero”.

L’accordo di Parigi, che ha fissato l’obiettivo di contenere l’aumento di temperatura del pianeta entro i 2 gradi centigradi sopra il livello preindustriale, si basa su impegni volontari degli stati. Il nostro Paese non ha ancora detto né spiegato come e cosa intende fare per tradurre in azioni gli impegni assunti insieme ai governi di tutto il mondo.

Il premier Matteo Renzi ha sottoscritto gli accordi con annunci enfatici: «La vera sfida oggi è chiudere gli occhi per un secondo e immaginare di vedere i nostri figli e nipoti» ha sottolineato alla cerimonia della firma dei 175 paesi all’assemblea dell’Onu lo scorso aprile.

L’obiettivo, nell’orizzonte temporale del 2030 per il nostro Paese, è la riduzione del 33 per cento delle emissioni.

Il dossier “L'Italia vista da Parigi” presentato dalla onlus Asud e dal Centro di documentazione conflitti ambientali (Cdca) analizza alcuni dei principali provvedimenti del governo in materia, tra cui il decreto sblocca Italia, il decreto spalma incentivi, il decreto inceneritori, e le politiche infrastrutturali, energetiche e di gestione dei rifiuti.

«C’è stata una moltiplicazione degli investimenti in progetti di sfruttamento di energie fossili, in infrastrutture per il trasporto su gomma o in politiche di incenerimento dei rifiuti, unite alla mancanza di adeguati incentivi per la transizione energetica e la decarbonizzazione. Tutte queste decisioni sono in assoluta contraddizione con gli impegni di riduzione», sottolinea Marica Di Pierri, presidente del Cdca.

Ecco come le parole non sono seguite dai fatti. L’eliminazione (retroattiva) degli incentivi all’energia fotovoltaica è avvenuta grazie al Decreto Spalma Incentivi (diventato legge nel 2015) che ha stabilito uno stop agli incentivi già a loro assegnati per tutti gli impianti con potenza nominale superiore a 200 chilowatt.

Allo stesso tempo il governo del rottamatore ha incoraggiato l’attività estrattiva per mezzo della formula di rito che identifica le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale “operazioni di interesse strategico” e di "pubblica utilità, urgenti e indifferibili.” Snellendo le procedure per ottenere le autorizzazioni, il governo ha depotenziato le Regioni favorendo le grandi compagnie petrolifere.

Nove consigli regionali si sono opposti e hanno promosso il referendum sulle trivellazioni per abrogare l’articolo che concede la proroga automatica alle concessioni di estrazione in mare entro le 12 miglia dopo la loro scadenza e fino ad esaurimento dei giacimenti. L'obiettivo dei promotori del referendum era bloccare il rinnovo automatico delle concessioni per spingere il governo ad abbandonare le fonti fossili. Il referendum non ha raggiunto il quorum ma ha portato 13 milioni di cittadini ad esprimersi a favore dell'abbandono delle attività estrattive in mare.

Altro punto dolente è la volontà di puntare sull’incenerimento dei rifiuti. Così anche i cementifici vengono trasformati per bruciare di più ma con meno regole.  Un modello di smaltimento di rifiuti confermato dal Decreto del Consiglio dei Ministri del 5 Ottobre 2016 in cui sono indicate le macro aree o le regioni dove verranno realizzati i nuovi impianti.

Ecco otto nuovi inceneritori da realizzare in Umbria, Marche, Lazio, Campania, Abruzzo, Puglia, Sicilia e Sardegna che permetteranno di incenerire 1.831.000 tonnellate di rifiuti in più all’anno rispetto ad oggi.

Anche il settore trasporti (responsabile del 23,5 per cento delle emissioni totali del Paese) ha visto un sostanziale ritorno al passato: il nuovo piano industriale 2017-2026 delle Ferrovie dello Stato prevede investimenti per 94 miliardi in dieci anni, di cui 73 per le infrastrutture, 14 per i materiali rotabili e 7 per lo sviluppo tecnologico.

Tra le linee di azione dell’azienda viene dato ampio margine al settore del trasporto su strada, con la previsione di incrementare la flotta di BusItalia (di proprietà del gruppo Fs) con 3.000 nuovi bus e l'obiettivo prioritario di incrementare la quota di trasporto pubblico su gomma dall’attuale 6 al 25 per cento.