Dormono sotto il ponte a pochi metri dal centro profughi della stazione centrale. Tutte le notti. Sono rifugiati eritrei e nigeriani. Giovani e soli che non trovano spazio nel vicino hub messo a disposizione dal Comune

L’eco dei respiri riempe l’aria sotto il ponte. E il freddo arriva nonostante le coperte termiche. Ragazzi eritrei e nigeriani avvolti in sacchi a pelo logori e coperte termiche che hanno trovato un rifugio di fortuna. Una pista ciclabile di giorno, un rifugio per disperati di notte (Guarda).

Sdraiati uno accanto all’altro sembrano carta stagnola usata. Sono le stesse coperte termiche che vengono distribuite ai disperati che attraversano il Mediterraneo. Visto da qui però il mare è lontano. Perché per molti di loro dopo lo sbarco non c’è altra scelta che dormire in strada. Sotto il ponte della pista ciclabile che costeggia il naviglio della Martesana a Milano, quartiere Greco, zona nord della metropoli a due chilometri dalla stazione centrale.

È martedì 8 novembre e anche questa notte qualcuno dormirà accanto all’acqua. Sono una dozzina. Altre notti arrivano fino a 20-30. Sopra il treno, alle spalle il naviglio. Sono gli «scartati» del centro profughi di via Sammartini, spazi di Ferrovie dello Stato che il Comune di Milano ha trasformato in una struttura d’emergenza e data in gestione alla fondazione progetto arca.

«Sono razzisti, ci fanno stare fuori», racconta F. 22 anni, gli ultimi tre passati a scappare dall’inferno del suo paese, l’Eritrea: partito da Sanafe ha varcato il confine con l’Etiopia, e poi Sudan, Libia e poi l’attraversata in mare per arrivare sulle coste siciliane. Ha speso quasi quattromila dollari per arrivare in Italia e vivere un incubo durato 30 mesi.

«Ho avuto spesso paura che mi uccidessero, in mezzo al deserto e nelle prigione libiche. Vorrei andare in un altro paese, magari in Norvegia dove vive mia sorella», continua F. mentre si allaccia una giacca troppo grande per la sua taglia.

A fargli da compagno di viaggio c’è H. 25 anni e stessa cittadinanza: «Siamo bloccati qui da due mesi. Abbiamo provato ad attraversare il confine a Bolzano, Tirano, Ventimiglia, Domodossola, Como e Luino, sempre rimandati indietro. Alla fine siamo tornati a Milano perché qui ci sono altri eritrei».

Ecco l’onda lunga dei respingimenti alle frontiere della scorsa estate: migliaia in arrivo e in fuga verso l’estero ma bloccati dentro i nostri confini. Fino allo scorso gennaio erano «transitanti» e si fermavano solo per riposare, 4 giorni di media, invece oggi fanno richiesta di asilo e rimangono anni.

«Da cinque settimane viviamo sotto il ponte. Non è vita questa: i miei vestiti puzzano e non posso fare la doccia», racconta il più giovane mentre mostrano maglietta e pantaloni sporchi. Indossano vestiti autunnali, troppo leggeri per la temperatura di stanotte, vicina a zero gradi.

Alle 22 incontriamo altri tre rifugiati, sempre eritrei, sempre senza letto.

«Ci hanno mandato via, non abbiamo il ticket della registrazione. Il centro non è pieno, ma noi rimaniamo a dormire sotto il ponte, perché?»

Altri ci raccontano che viene sbattuta la porta in faccia in modo del tutto discrezionale dicendo «che fanno i furbi», «non vogliono registrarsi» o devono andare in altre città dove hanno fatto richiesta di asilo.

«Se sono ubriachi li lasciamo fuori», spiega il presidente di progetto arca Alberto Sinigallia: «Riusciamo a fare quattrocento ingressi, di più è impossibile. Diamo la precedenza a mamme con bambini, minori non accompagnati, donne sole. Queste categorie vulnerabili hanno la tessera e gli altri li accogliamo finche c’è posto. Spero che questo inverno riusciremo a non lasciare fuori nessuno, ma ad ottobre abbiamo fatto fronte a 13 mila persone sbarcate in tre giorni».

Ogni giorno si ripete lo stesso rito: in fila per poter entrare nell’hub dei rifugiati di via Sammartini 120. Dalle 14 inizia la registrazione obbligatoria per accedere agli spazi. Viene segnato nome, cognome e paese di provenienza e consegnato un biglietto. Chi è sprovvisto rimane fuori.

Un nodo centrale delle vie dell’immigrazione: inaugurato lo scorso maggio all’interno si trovano ambulatorio, docce, area ristoro e banco per la registrazione, uno spazio gioco per i bimbi e postazioni Pc per contattare i parenti lontani. Oltre alla mensa aperta a tutti. Da qui in pochi mesi sono passate migliaia di persone.

Nei momenti di massimo afflusso si mettono le brandine anche in mensa e si arriva a 700 migranti per notte, una parte consistente dei 3.800 profughi di cui si prende cura Palazzo Marino e Prefettura.