Sono nate a Savona, grazie a una collaborazione tra l’Università di Genova e l’Associazione Nazionale Alpini. Opereranno nelle zone più a rischio per frane ed esondazioni. Nel 2016 si parte in Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta. Ma l’obiettivo è estenderle in tutta Italia

È un progetto da pionieri, perché è partito da zero. Mancavano i piloti, i mezzi, le procedure. Anche solo precedenti cui ispirarsi. Ma dopo mesi di lavoro ecco il primo risultato: nel campus universitario di Savona è nata la prima “squadra dei droni” della Protezione civile. Interverrà in situazioni difficili o pericolose come la ricerca dei dispersi nei boschi, il soccorso dei feriti, il controllo di frane ed esondazioni.

Si era partiti nel 2014 con un accordo tra l’Università di Genova e l’Ana, l’Associazione Nazionale Alpini che al suo interno ha 14 mila soci volontari di Protezione civile. «Le alluvioni sono diventate molto frequenti e negli ultimi anni hanno dimostrato che c’è bisogno anche di questi strumenti», spiega l’ingegner Giuseppe Bonaldi, coordinatore nazionale della Protezione Civile dell’Ana. «Come esistono i nuclei cinofili, antincendio e  sanitari, avremo anche un team specializzato nelle riprese aree».

La collaborazione tra Università e Associazione Nazionale Alpini si è divisa tra parte scientifica e parte operativa. L’efficacia dell’uso dei droni in azioni complicate (a causa delle condizioni meteo o per la presenza di luce, ostacoli e affollamento) è stata dimostrata in diversi progetti di ricerca internazionali, dagli Stati Uniti al Regno Unito. In Italia si erano già fatti alcuni tentativi sperimentali, ma il nuovo regolamento per l’uso dei droni in vigore dall’aprile 2014 ha cambiato tutto.

Per guidare i droni – nella legge detti Sapr, Sistemi aeromobili a pilotaggio remoto, in inglese UAV, Unmanned Aerial Vehicles – serve infatti un’abilitazione dell’Enac che ancora pochi possiedono. E c’è poco da scherzare: in caso di violazioni sono previste sanzioni penali e multe che arrivano anche a 100 mila euro.

L’Università di Genova ha così inaugurato in primavera il primo corso universitario in Italia per ottenere il certificato dell’Enac: un corso di teoria e pratica, una vera e propria scuola guida in collaborazione con l’Aeroclub di Casale Monferrato. Alle lezioni nel campus di Savona, appena terminate, hanno partecipato  studenti universitari, volontari di Protezione civile e militari del Primo reggimento artiglieria da montagna di Fossano, lo stesso che è intervenuto in Liguria durante l’alluvione dello scorso autunno.

Nata la prima squadra di piloti, quest’estate è partita la sperimentazione sul campo in Piemonte, Veneto e Lombardia. «Abbiamo cominciato a studiare gli scenari operativi in collaborazione con le altre specializzazioni dell’Ana», continua l’ingegnere Giuseppe Bonaldi. «Le esercitazioni riguardano il disgaggio, ossia la messa in protezione del territorio in caso di frana, le inondazioni e la ricerca dei dispersi. I droni consentono valutazioni dei rischi più semplici e rapide, in particolare nei  territori ad alto rischio».

Per la ricerca dei dispersi la squadra droni ha collaborato con la squadra cinofila dell’Ana del Terzo raggruppamento, che  comprende Veneto, Friuli e Trentino Alto Adige. La Croce Rossa Italiana ha appena aderito al progetto e con il comitato provinciale di Savona si è messa a disposizione per le attività di recupero e salvataggio: i droni saranno impiegati come cargo per il trasporto di attrezzature mediche e soprattutto come triage remoto.

Nel frattempo l’Università continua a occuparsi della formazione dei piloti – il prossimo corso partirà a fine ottobre - e sta creando droni specifici per i diversi scenari studiati. «Ci saranno piloti esploratori, operatori video e capisquadra», spiega il professor Gianni Vercelli del Dibris, il Dipartimento di Informatica, Bioingegneria, Robotica e Ingegneria dei Sistemi dell’Università di Genova.

Ogni team sarà dotato di un prototipo operativo di squadra droni con due microdroni e un minidrone master; i piloti-operatori avranno uno smart wearable backpack, uno “zainetto” sensorizzato portatile. «La più grande innovazione che stiamo studiando riguarda la visuale del drone», continua il professore Gianni Vercelli. «Possiamo dire di avergli messo due “occhi”. E non intendo due telecamere qualsiasi, ma proprio due occhi».

L’operatore da terra userà infatti un oculus rift, uno schermo da indossare sul viso per creare una realtà virtuale, come nei videogiochi; il visore sarà collegato a due microcamere con visione stereoscopica (molto  simile a quella tridimensionale) montate sul drone. «È una tecnologia russa di cui esistono pochissimi esempi simili al mondo», rivela entusiasta Vercelli. «La telecamerina si chiama Blackbird2 e pesa solo 55 grammi. Ne abbiamo ricevuto un pre-prototipo: i russi hanno fatto l’hardware, noi stiamo realizzando i software per collegarlo al visore».

Guardando dentro l’oculus rift  viene quindi ricostruito quello che vede la telecamera stereoscopica. In base a come si sposta la testa del pilota, si muovono “gli occhi” del drone. «I risultati sono incredibili: chi indossa il visore è come se fosse sul drone».

Il 2016 sarà dedicato alla definizione delle procedure di intervento e al passaggio operativo nelle sezioni territoriali di Protezione Civile dell’Ana. Si partirà con alcune sezioni del Primo raggruppamento, cioè Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta. «Ogni squadra avrà almeno uno dei volontari specializzati nel pilotaggio dei droni e un operatore per la ricerca dei dispersi», assicura l’ingegner Bonaldi dell’Ana.

Per ottenere anche dei finanziamenti europei si sta preparando un progetto Interreg Alcotra, un  programma di cooperazione transfrontaliera tra Italia e Francia che riguarderà il territorio piemontese e francese. «È un piano molto ambizioso: l’obiettivo finale è coinvolgere ogni sezione dell’Associazione Nazionale Alpini che opera in zone a rischio».