Il 26 marzo a Cosenza e il 27 a Catanzaro. Con Giancarlo Caselli, Tano Grasso, i pm di tre generazioni e un ex sindaco oggi ministro. Per spiegare come cittadini, amministratori e magistrati si oppongono alla criminalità

Nell’ultima settimana di marzo i “Dialoghi dell’Espresso” raddoppiano: il 26 e 27 si terranno infatti due incontri, il primo a Cosenza (alle 9 nell’aula Umberto Caldora, centro residenziale, via P. Bucci ), e il secondo a Catanzaro (alle 10 nell’aula Giovanni Paolo II, località Germaneto, dell’Università Magna Graecia).

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E al centro delle due discussioni sarà la guerra alle mafie, affrontata da angoli visuali diversi. All’appuntamento cosentino, i giornalisti dell’“Espresso” Lirio Abbate - esperto di criminalità organizzata e più volte oggetto di intimidazioni mafiose - e Gianfrancesco Turano - autore di numerose inchieste sulla realtà calabrese - intervisteranno tre magistrati che hanno dedicato anni della loro vita professionale a combattere mafia, ’ndrangheta e camorra.


Sul palco, Gian Carlo Caselli: fra i tanti ruoli da lui ricoperti vi è stata la guida della Procura di Palermo dove arrivò nel ’93, il giorno dell’arresto di Totò Riina. Buon auspicio: la sua lunga esperienza nel coordinamento di indagini su Cosa nostra culminò nella cattura di boss del calibro di Bagarella, Spatuzza e Brusca. Con lui, Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto prima a Catanzaro e ora a Napoli: un magistrato poco più che cinquantenne con al suo attivo molti procedimenti che hanno portato a centinaia di arresti, e ha condotto una lotta senza quartiere contro i più efferati clan malavitosi, come quello napoletano dei Nuvoletta, quello dei Lanzino a Cosenza e altri ancora. Terzo magistrato è Donatella Donato, pm a Cosenza: ben rappresenta la nuova leva di toghe delle procure più “calde” del Sud impegnate nella lotta all’“onorata società”. Le differenze anagrafiche fra i tre magistrati sono la chiave dell’incontro: portando ciascuno la rispettiva esperienza, daranno modo di approfondire il cambiamento intervenuto negli anni nelle tecniche d’indagine e di approccio ai processi alla Piovra, come pure i mutamenti occorsi nelle priorità delle procure per le loro attività di contrasto. Infine Arcangelo Badolati, giornalista della “Gazzetta del Sud” e docente ad Arcavacata, porterà la sua personale testimonianza sul quotidiano lavoro di cronaca sulle attività del Cosentino.


Diverso approccio per il Dialogo del 27 marzo a Catanzaro, sempre curato da Abbate e Turano e dedicato al contributo delle donne nella lotta antimafia (argomento al quale Abbate ha dedicato il suo recente libro-inchiesta “Fimmine ribelli”). Le donne appartenenti a famiglie della criminalità organizzata per tradizione sono vissute perlopiù chiuse in casa, asservite a mariti, padri e figli. Oltre alle cure domestiche hanno di frequente svolto ruoli criminali fondamentali, custodendo i segreti di famiglia, facendo da trait d’union tra latitanti e malavitosi nelle carceri, intestandosi beni che andavano riciclati, talora perfino svolgendo il compito di corrieri della droga. E tutto nel silenzio e nella segregazione. Da qualche tempo, anche per l’impatto esplosivo dei social network, le donne delle mafie hanno scoperto che quella toccata loro non è l’unica vita possibile. E compreso che avrebbero potuto tirarsi fuori da quella condizione ma che l’unica via d’uscita era la collaborazione con la giustizia. Un fenomeno con effetti di emulazione. Un contributo ad affrontare questi argomenti verrà dal ministro Maria Carmela Lanzetta. Con lei parteciperanno al dialogo Tano Grasso, imprenditore e fondatore del movimento antiracket, e Alessandra Cerreti, pm presso la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, una donna magistrato che ha coltivato la collaborazione con la giustizia di alcune donne dei clan.