Un disegno di legge approvato dall’Esecutivo e non ancora depositato (ma che l’Espresso ha letto), dà alla premier ampi margini di scelta sulla vendita di materiale bellico, ridimensiona la Farnesina e agevola le commesse in Europa (come chiedevano le aziende di settore). Le ragioni politiche. Il ruolo del sottosegretario Mantovano. Tutti i dettagli

Un anonimo giorno di agosto, con quel piglio discreto che si indossa per le cause grosse, il governo s’è spinto dove e come nessun governo s’era spinto mai in più di trent’anni. In coda a un titolo involuto, vale pure anonimo, «Norme sul controllo degli armamenti», lo scorso tre agosto il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge per ritoccare/riformare/rinfrescare la legge 185 del ’90, la summa che disciplina le importazioni e le esportazioni di materiale bellico di ogni tipo, che siano bulloni o cannoni. La legge 185 del ’90 poggia sui pilastri della Repubblica che «ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» e perciò fu accolta come una conquista dai movimenti contro le armi e una restrizione dai fabbricatori di armi. È vietato cedere materiale bellico, per esempio, a Paesi in guerra o che violano i diritti umani.

 

Le letture (troppo) faziose vanno corrette subito: no, il governo più a destra di sempre non interviene con un semplice disegno di legge per rendere l’Italia il serbatoio di munizioni dei Paesi canaglia sfregiando la Costituzione, più che altro interviene, com’è nella sua indole, per trasferire a Palazzo Chigi, e dunque a Giorgia Meloni e ai suoi più stretti collaboratori, un potere che oggi è altrove. E non è malleabile.

 

Un anonimo giorno di agosto, insomma, il governo ha avviato l’ennesima manutenzione di sé stesso per accrescere il comando e il controllo di Meloni e, di riflesso, del sottosegretario Alfredo Mantovano, ormai un vero vicepresidente o copresidente del Consiglio.

 

Il disegno di legge annunciato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e registrato col numero 855 non risulta ancora depositato in Senato, però L’Espresso ha visionato l’ultima bozza esaminata nel governo. In sintesi. Si riduce a ufficio tecnico l’Autorità nazionale per le Autorizzazioni di Importazioni e di Esportazioni (Uama) dislocata al ministero degli Esteri e diretta da un diplomatico di alto rango, si rimuove la gran parte dei vincoli per le operazioni in uscita con i Paesi europei e, soprattutto, si consegna alla Presidenza del Consiglio l’indirizzo politico sulle compravendite di materiale bellico con un ampio margine di discrezione.

È assai ingenuo credere che in passato l’indirizzo politico fosse intrappolato in una serie di norme parecchio severe oppure al ministero degli Esteri in una penna di un diplomatico. Fu il doppio passaggio in Consiglio dei ministri, nel governo giallorosso di Giuseppe Conte, a permettere la rivendita al vicino Egitto, non esattamente una fiorente democrazia, la coppia di fregate di classe Fremm, peraltro già acquistata dalla Marina militare italiana. La pedissequa applicazione della legge 185 probabilmente avrebbe impedito qualsiasi affare con il regime del generale Abdel Fattah al-Sisi. Fu proprio la legge 185, invece, a indurre le Camere e i governi di Conte a decretare gli embarghi a Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita per il loro coinvolgimento nella guerra nello Yemen (divieti rimossi dal governo Meloni dopo il cessate il fuoco e il processo di pace). Per vari motivi, e il primo è ostinatamente il potere, l’Italia di Meloni sarà chiamata a scegliere fra “questioni etiche” e “ragioni politiche” nel suo commercio di armi. La guerra in Ucraina ha aumentato il fabbisogno di materiale bellico e si ignora ancora per quanto. Le riserve americane, europee e italiane si sono asciugate o finanche azzerate e le società tricolori vogliono competere con più libertà. La revisione della legge 185 per avere una maggiore «rapidità di esecuzione» fu richiesta da Giuseppe Cossiga, il presidente della Federazione delle aziende di categoria che a ottobre è subentrato a Guido Crosetto, nominato ministro della Difesa.

 

Si apre una fase nuova che determina i prossimi decenni. La politica, certo. E anche la geopolitica. Non di rado agli accordi con i Paesi africani e asiatici per contenere l’immigrazione clandestina o per le forniture di energia si allegano poi commesse militari. I francesi lo fanno con disinvoltura. Il movente per ritoccare/rinfrescare/riformare la legge 185 del ’90 è abbastanza consolidato nonché antico (ai tempi del ministro Luigi Di Maio c’era una intenzione simile, non uguale, simile), il fatto scatenante, però, è più prosaico: da mesi il governo voleva sostituire il ministro plenipotenziario Alberto Cutillo, il diplomatico che dirige l’Uama, per la sua prudenza considerata eccessiva. Allora si è approfittato: anziché cambiare qualche tegola, ci si è convinti a rifare il tetto. Sul cantiere hanno spedito Tajani. Gli tocca.

 

Il disegno di legge a firma Tajani, che ancora una volta fa cedere alla Farnesina un pezzo di sovranità (la cessione più dolorosa è il commercio estero, traslocato allo Sviluppo economico), non smantella la 185 del ’90, dovrebbe emendare 7 articoli su 31 e abrogarne 2. Palazzo Chigi assume il costante indirizzo politico riesumando il Comitato interministeriale per gli Scambi di Materiali di Armamento per la Difesa, in sigla Cisd, e lo fa riscrivendo l’articolo 6: «Il Cisd è composto dal presidente del Consiglio dei ministri, che lo presiede, e dai ministri degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, dell’Interno, della Difesa, dell’Economia e delle Finanze, delle Imprese e del made in Italy. Le funzioni di segretario sono svolte dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con funzioni di segretario del Consiglio dei ministri. Possono essere invitati alle riunioni del Cisd altri ministri interessati». La stesura attualmente in vigore, integra da undici anni, non menziona il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e tantomeno lo fa in maniera così specifica. La gestione del Cisd sarebbe affidata al sottosegretario Mantovano che, tra l’altro, ha la delega ai servizi segreti e una fortissima influenza istituzionale che soltanto Gianni Letta ha sperimentato nella Seconda Repubblica quand’era lo snodo dei governi di Silvio Berlusconi.

La funzione centrale del Comitato interministeriale viene esplicitata con la futura versione del comma 3: «Nel rispetto dei principi di cui all’articolo 1 e degli obblighi internazionali dell’Italia e in attuazione delle linee di politica estera e di difesa dello Stato, valutata l’esigenza dello sviluppo tecnologico e industriale connesso alla politica di Difesa e di produzione degli armamenti, il Cisd formula gli indirizzi generali per l’applicazione della presente legge e per le politiche di scambio nel settore della difesa, detta direttive d’ordine generale per i trasferimenti di materiali di armamento e può stabilire criteri generali per l’esercizio dei poteri». Il punto è nell’espressione «può stabilire criteri generali». Stabilire i limiti. A parte gli embarghi che non sono discutibili, un comma introdotto alla fine dell’articolo 1 ne illustra il meccanismo: «I divieti di cui al presente articolo sono applicati, anche in relazione a specifici materiali, destinatari od operazioni, con deliberazione del Comitato interministeriale di cui all’articolo 6, su proposta del ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, sentito il ministro della Difesa. I divieti decorrono dal giorno successivo alla deliberazione di cui al primo periodo, adottata entro quindici giorni dalla trasmissione alla presidenza del Consiglio dei ministri della proposta del ministro degli Affari esteri».

 

Le novità al comma 4 dell’articolo 9 sono quelle che rallegrano l’industria bellica. «L’inizio delle trattative contrattuali ai fini delle operazioni di cui al comma 1 da e verso Paesi Nato e non membri dell’Unione europea, ovvero delle operazioni contemplate da apposite intese intergovernative, deve essere comunicato al ministero della Difesa che, entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione, ha facoltà di disporre condizioni o limitazioni alla conclusione delle trattative stesse». Qui c’è una piccola aggiunta, «e non membri dell’Unione europea», che facilita le importazioni e le esportazioni nel continente. Questo va nello spirito della Difesa europea (e non degli interessi di Parigi). Nel ’22 l’Italia ha esportato materiale bellico per circa 5,3 miliardi di euro di cui il 46,5 per cento verso membri dell’Unione europea.

Altre due cose da segnalare. Le transazioni economiche che riguardano gli armamenti, secondo lo schema di disegno di legge visto da L’Espresso, vanno comunicate al ministero del Tesoro al solito dalle banche e poi anche dagli intermediari finanziari. È una forma di cautela per un fenomeno in espansione: dopo un biennio in pesante diminuzione, nel ’22 le intermediazioni finanziarie hanno registrato un più 337 per cento sfiorando i 400 milioni di euro. Al contrario, non migliora il rapporto con le Camere. Ancora più assenti, isolate, spettatrici, mentre le decisioni sulle armi diventano più politiche. I parlamentari, però, se si vogliono bene, possono proporre le opportune modifiche. Se si vogliono bene almeno un po’. Attenzione. Questo non è tema di sentimenti. Bensì di armamenti.