A manifestare contro la sospensione non ci sono «fannulloni e parassiti» ma persone che chiedono solo un’esistenza dignitosa. «Lo Stato dovrebbe dichiarare guerra al lavoro sottopagato non a noi»

Abita al Sud (preferibilmente nell’area metropolitana di Napoli). E nella vita non ha voglia di fare niente: è un fannullone, parassita, campa sulle spalle degli altri, i lavoratori onesti, che, invece, faticano per portare a casa lo stipendio a fine mese.

 

Questa è l’immagine del percettore-tipo del reddito di cittadinanza che si forma nella mente di chi è favorevole all’abolizione della misura. «Dopo anni in cui nel discorso pubblico i poveri sono stati raccontati come colpevoli e non in quanto vittime del mondo del lavoro che funziona male».

Politica
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Come spiega Giuliano Granato, co-portavoce di Potere al Popolo, organizzazione politica che partecipa alle proteste per la sospensione del Reddito degli ultimi giorni, «l’unico punto che corrisponde a realtà è che al Sud i percettori sono di più». 37.645 in Sicilia, 36.770 in Campania. 16 mila nel Lazio, 14 mila in Calabria, quasi 12 mila in Puglia. Ma anche più di 7mila in Lombardia e in Piemonte. «Il resto è falso. Tanti sono ex lavoratori che a causa della crisi post Covid-19 hanno perso l’occupazione. Altri hanno sempre lavorato in maniera irregolare e non hanno nemmeno un contributo versato ma non per loro scelta. Circa il 20 percento di chi riceve il sussidio dallo Stato ha, invece, un’occupazione. Ma guadagna talmente poco da aver bisogno di un’integrazione».

 

È il caso di Daniela, 50 anni. Curatrice d’arte e organizzatrice di mostre che vive a Pescara, capoluogo abruzzese. Ha scelto di restare in Italia, nella città in cui è nata nonostante le offerte ricevute dall’estero: «Mi avevano chiamata da una galleria di New York ma ho preferito rimanere. Pensavo di poter fare il mio lavoro anche qui. Invece, dopo anni in cui mi sono arrangiata a causa dei compensi irrisori ricevuti ho fatto richiesta per il Reddito di cittadinanza: 600 euro al mese. Sembra poco ma è più di quanto guadagnavo con la miriade di lavoretti saltuari che ero abituata a fare. All’inizio pensavo fosse strano prendere soldi senza un’occupazione. Poi ho capito che è giusto. Sono stata sfruttata per anni, sottopagata anche dagli enti pubblici che si approfittano del fatto che il numero di persone che sognano di lavorare nella cultura è alto».

 

Daniela mentre prende il reddito svolge i lavori socialmente utili, i Puc - progetti utili alla collettività, in un museo statale della città. «Mi trovo molto bene. Alcuni dei colleghi, come me, percepiscono il sussidio dallo Stato, nella maggior parte dei casi sono persone che hanno perso il lavoro durante la pandemia. Adulti per cui non è semplice ricollocarsi nel mondo occupazionale, anche se abbiamo ancora molto da dire. E voglia di fare. Siamo spaventati per quello che accadrà alla fine di dicembre 2023. Anche perché non abbiamo ancora capito che cosa ci succederà».

 

Secondo Granato, infatti, «le istituzioni sono in estremo ritardo. Oggi non c’è nemmeno piattaforma Inps dove chi ha perso lavoro può iscriversi per poter accedere al nuovo sussidio statale (i 350 euro del “Supporto di formazione e lavoro” ndr). I corsi di formazione di cui si parla in questo momento non esistono per tutti. E anche quando esistono, il problema è la facilità con cui si trasformano in esamifici: attestati in cambio di soldi senza nessuna reale preparazione al mondo del lavoro». Ma la ferita è ancora più profonda: «Manca proprio il lavoro dignitoso in Italia. Manca una strategia di politica industriale che punti a renderci competitivi per la qualità del lavoro - l’innovazione tecnologica, la transizione green - e non per i bassi salari. Nel nostro Paese i settori che crescono di più sono turismo e ristorazione, proprio quelli caratterizzati da un alto tasso di lavoro nero e da stipendi bassi. Ed è qui che finiranno gli ex percettori di reddito. A fare gli interessi degli imprenditori che dicono che non trovano personale da pagare poco».

 

Secondo il co-portavoce di Pap, sospendere il reddito di cittadinanza significa attaccare una delle poche misure a sostegno delle fasce popolari «mentre non vengono mai messi in discussione i sussidi all’imprenditoria o ad altri settori della società che potrebbero farne a meno. I difetti del reddito si sarebbero potuti correggere: ad esempio quello di aver raggiunto soltanto un povero su due secondo le stime. Al lavoro precario e sottopagato il Governo dovrebbe dichiarare guerra. Non ai poveri».

 

Più controlli da parte dell’Ispettorato del lavoro, che dovrebbe essere rafforzato, per contrastare l’occupazione irregolare, salario minimo di 10 euro l’ora, riforme dei contratti affinché a quelli determinati si possa accedere solo in casi specifici – come per le sostituzioni di maternità-  e settimana lavorativa di 4 giorni: sarebbero queste le politiche a cui puntare per costruire un mondo occupazionale che cresce e per ridurre il numero dei cittadini in povertà, secondo i manifestanti che dalle piazze chiedono di non essere lasciati senza tutele. Senza quel sussidio che era stato pensato per essere il minimo necessario a un’esistenza dignitosa: «Essere poveri non è una colpa».