Fanno funzionare la macchina, ma sono discriminati rispetto ai colleghi togati. Stabilizzati sulla carta, restano precari delle udienze. L’Ue intima all’esecutivo di dargli tutele adeguate. Ora l’Italia rischia sanzioni e il blocco dei fondi Pnrr

Il tempo è abbondantemente scaduto. E lo è anche la pazienza di chi credeva di vivere nella culla del diritto e si risveglia invece in aule di giustizia abitate da magistrati, quelli onorari, chiamati a fare le veci dei togati, senza diritti né tutele. A stabilirlo è stata ancora una volta la Commissione europea che – vedendo ignorate le censure della prima e poi anche della seconda e più vibrante costituzione in mora, inviate all’Italia tra il 2021 e il 2022 – a metà luglio è tornata alla carica, sollecitando il governo ad annullare le discriminazioni e a promuovere, finalmente e a ogni effetto, al rango di lavoratori tutti quei giudici onorari di pace e quei viceprocuratori onorari che ogni giorno sostituiscono in udienza gli omologhi professionali.

 

Sessanta i giorni di proroga concessi per farlo. Per cancellare, cioè, il paradosso per cui, pur garantendo il funzionamento della macchina della giustizia italiana (sono loro a reggere il 60 per cento del contenzioso civile e penale di primo grado), sulla carta contano quanto «volontari con funzioni marginali e accessorie».

 

La regola vale anche negli altri Paesi dell’Ue, dove pure «l’onorarietà si fonda sulla volontarietà» e dove, tuttavia, la loro presenza nelle corti è realmente saltuaria e non indispensabile a evitare la paralisi degli uffici. Sembra il teatro dell’assurdo e in effetti un po’ lo è. Tanto che a ricostruire lo strano caso degli oltre 4.500 magistrati onorari italiani, con non poco sconcerto, era stato proprio l’esecutivo europeo nella seconda lettera a Palazzo Chigi, esattamente un anno prima, dopo il mal riuscito tentativo della riforma firmata da Marta Cartabia di disinnescare le procedure d’infrazione avviate da Bruxelles. Dove peraltro, già nel 2017, le disposizioni introdotte dall’allora ministro Andrea Orlando furono giudicate insufficienti a sanare le storture.

 

Ma erano state due pronunce della Corte di Giustizia dell’Ue (la “Ux” nel 2020 e la “Pg” nel 2022) sul riconoscimento ai ricorrenti della qualifica di «lavoratori subordinati» e, quindi, dei diritti retributivi e previdenziali, a fissare i principi per pretendere dall’Italia la fine dello sfruttamento. Come? Con il superamento della retribuzione a cottimo (98 euro lordi fino a cinque ore d’udienza), in primis, e con l’introduzione di un sistema contrattuale comprensivo dell’intera gamma di tutele giuslavoristiche – dalle ferie alla malattia, dalla maternità ai contributi previdenziali – garantite ai “titolari di cattedra”.

 

Eppure, nonostante il via libera alla stabilizzazione degli onorari nelle funzioni giudiziarie, la battaglia è tutt’altro che conclusa. Prova ne sia il parere motivato (e ultimativo) inviato nelle scorse settimane dall’Europa alla presidente Giorgia Meloni, paladina della categoria quand’era ancora all’opposizione, e al ministro della Giustizia e magistrato in pensione, Carlo Nordio, che, dopo avere definito «grottesco», a marzo, il modo in cui gli onorari erano stati fino ad allora trattati, il mese successivo aveva dovuto gestirne a propria volta lo sciopero. Astensione che, va da sé, aveva impensierito pure l’Associazione nazionale magistrati, ossia il sindacato delle toghe, che, nel sollecitare il riconoscimento ai supplenti delle tutele accordate nella legge di Bilancio 2022, aveva tuttavia ribadito «la necessità di non trascurare lo statuto costituzionale di onorarietà del loro importante impegno».

 

Allora come oggi, la sensazione non cambia. «Il governo non ci ascolta», lamentano le associazioni degli onorari, critiche in particolare con il viceministro Francesco Paolo Sisto, l’avvocato che prima di varcare i portoni di via Arenula ne aveva difeso le istanze proprio nei palazzi della giustizia europea.

 

«I magistrati onorari non godono dello status di lavoratore ai sensi della legislazione nazionale italiana e, quindi, neppure delle tutele garantite dal diritto del lavoro Ue», ricorda la Commissione, biasimando pure «l’insufficiente protezione dalla reiterazione abusiva di contratti a tempo determinato» e «l’impossibilità di ottenere per questo un adeguato risarcimento». Non un fulmine a ciel sereno, appunto, visti i precedenti ultimatum a cambiare registro. Ora, però, i rischi all’orizzonte sconsigliano ulteriori temporeggiamenti: detto che la vicenda potrebbe imboccare la via della Corte di Giustizia, si paventano il blocco dei fondi del Pnrr e una possibile condanna a un milione di euro di sanzione per ogni giorno di ritardo.

 

Sul campo, intanto, a tenere alta l’attenzione sono le associazioni, per nulla soddisfatte delle condizioni che la Cartabia ha dettato per superare la precarietà. Passi per l’esame, pensato per procedere con la regolarizzazione e scaglionato per anzianità di servizio (a sostenerlo, per ora, sono stati 1.650 candidati, tutti arruolati prima del 2017), ma non per la decisione, che la stessa Commissione ha definito «penalizzante», di parametrare gli stipendi, quelli che finalmente percepiranno anche loro, sulle retribuzioni dei funzionari amministrativi (con tre fasce di reddito, diviso in base all’anzianità e compreso tra 1.750 e 2.250 euro netti). Peraltro, congelandoli ai valori del 2021 e senza chance di rinnovi e adeguamenti futuri.

 

«Incatenati per sempre», osserva Monica Cavassa, vicepresidente dell’Unione nazionale giudici di pace e componente della Consulta della magistratura onoraria. Per non dire «della rinuncia obbligatoria alle pretese risarcitorie per il pregresso: le violazioni dei diritti che abbiamo subìto dalla Pubblica Amministrazione in 25 anni di servizio».

 

Ma il colmo è andato in scena a fine marzo, con la grana dell’inquadramento previdenziale del nuovo gruppo di lavoratori dipendenti: permanenti nelle funzioni, sì, ma al buio rispetto al regime da applicare. Con il risultato di rimanere per mesi senza paga.

 

Nelle more, per colmare il vuoto «di fronte all’assenza di indicazioni nel nuovo quadro normativo» e nel rimarcare «la valenza risarcitoria della stabilizzazione», il governo aveva allora erogato un acconto (al netto degli accantonamenti per previdenza e assistenza) per i 400 onorari già raggiunti dai decreti di conferma. Ma la soluzione, che aveva escluso i magistrati che non hanno optato per il regime di esclusività (chi, cioè, come gli iscritti all’albo degli avvocati, ha già un «partita stipendiale attiva» e dovrà comunque accontentarsi di un’indennità dimezzata), era stata giudicata «un’aberrazione» dalla categoria. Che, svestiti i panni onorari e della precarietà, e tuttavia ancora giuridicamente ed economicamente distante da quella dei togati, resta un’anomalia in e per l’Europa.