C’è chi è andato con Cateno De Luca, chi sotto le bandiere dei Fratelli d’Italia. Storia della rivoluzione grillina mai partita, nonostante le premesse e i trionfi elettorali degli inizi. Con un primatista: Giancarlo Cancelleri, l’ex no Ponte sullo Stretto sedotto dai forzisti

«Basta con le sceneggiate!». Sono imbestialiti, i grillini di Sicilia, con l’ex sindaco di Messina Cateno De Luca. Lui gliel’ha fatta sotto il naso, alle cinque del mattino del 10 febbraio 2023. Da settimane le polemiche scuotono l’Assemblea regionale siciliana, per il via libera all’aumento di 890 euro al mese degli stipendi dei deputati in virtù di un fantomatico adeguamento automatico Istat. Allora De Luca impugna il vessillo dei rivoltosi. Il capo del partito Sud chiama Nord presenta un emendamento che sopprime l’aumento. Ma alle cinque del mattino, quando tutti i parlamentari sono ormai a uno stato avanzato di cottura e qualcuno è stato sconfitto da Morfeo direttamente sul banco, né lui, né i suoi, lo votano. E l’aumento è salvo.

Un capolavoro di arte democristiana. Ma Scateno, come lo chiama qualche fan, è un professionista. Ha imparato giovanissimo, a 18 anni. Poi, quando la Dc si è spenta e i succedanei si sono avvizziti, ha navigato nelle correnti centriste fino a farsi il suo partitino. Che con un pugno di voti, 0,76 per cento alla Camera e 0,99 al Senato, si è preso un seggio a Montecitorio con Francesco Gallo e uno a palazzo Madama con Dafne Musolino. Due onorevoli nazionali con appena 272 mila voti. Contro i nove seggi dei grillini, che di voti ne hanno presi 4,3 milioni. E qui c’è la sintesi della più incredibile, nonché rapida, diaspora politica cui la Sicilia abbia mai assistito. Quella del Movimento 5 Stelle.

Tutti si prendono un pezzo. Esattamente tre giorni dopo lo scontro violentissimo di quella notte per il voltafaccia di Scateno, il Movimento 5 Stelle si accorda proprio con lui a sostegno del candidato sindaco di Trapani Francesco Brillante. Ancora tre giorni ed ecco la nuova portavoce del partito di De Luca. Il suo nome è Laura Castelli, diploma universitario triennale in economia aziendale, ex viceministra dell’Economia con i governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi. Laura Castelli, che durante una puntata di Porta a Porta sui mutui e lo spread ribatte con un irriverente «Questo lo dice lei!» a Pier Carlo Padoan, ex ministro, ex direttore esecutivo del Fmi, ex capo economista dell’Ocse, ex docente di Economia in otto università internazionali.

Grillina della prima ora, poi passata con gli scissionisti di Luigi Di Maio e bocciata alle elezioni politiche del 2022, Laura Castelli è infine approdata a Sud chiama Nord. Dove per pochi mesi non incrocia la ex Iena Dino Giarrusso, europarlamentare eletto con i 5 stelle che dopo aver lasciato il Movimento fa un’intesa con Scateno per le Regionali, ma poi rompe pure con lui. A differenza di un’altra ex Iena che De Luca porta nel «Parlamento più antico del mondo»: Ismaele La Vardera. Il quale avrà il privilegio di assistere in diretta, nella campagna elettorale del 2022, all’opa del centrodestra su un bel pezzo di ciò che rimane del M5S in Sicilia.

La Vardera ha appena superato l’esame di maturità al liceo Danilo Dolci di Palermo quando Beppe Grillo si tuffa a Villa San Giovanni per attraversare a nuoto lo Stretto di Messina. La politica trema, e non solo la politica siciliana. Fanno bene, perché assieme al comico genovese nell’isola è in arrivo il terremoto e ciò che accade in Sicilia di solito anticipa quanto succede nel resto d’Italia. Alle Regionali del 2012 il candidato di Grillo prende 368 mila voti, il 18 per cento e 15 consiglieri. Si chiama Giovanni Carlo Cancelleri detto Giancarlo, è geometra e ha le idee chiare: «Siamo diversi dagli altri. In una terra che ha inventato la mafia presentiamo candidati puliti e senza alcuna condanna». Quanto al Ponte sullo Stretto, «la riteniamo un’opera inutile».

Nel febbraio seguente il Movimento 5 Stelle non è il primo partito nel Parlamento per un pelo: il voto degli italiani all’estero. Ma è l’inizio della volata che avrà ben presto esiti clamorosi. Nemmeno l’inchiesta giudiziaria sulle presunte firme false raccolte per le Amministrative del 2012 potrà arginarla. Le regionali siciliane del 2017 sono l’anticamera del trionfo nazionale. Stavolta Cancelleri porta a casa 722.555 voti, il doppio di cinque anni prima. È al 34,65 per cento, e deve cedere la presidenza della Regione a Nello Musumeci di Fratelli d’Italia per 5 punti percentuali e appena 108.266 voti.

Il 4 marzo successivo, alle elezioni politiche, il Movimento 5 Stelle è il primo partito. Sull’onda della promessa del reddito di cittadinanza ha fatto cappotto al Sud. In Sicilia è appena al di sotto del 50 per cento: come la Dc nel 1948. I seggi grillini conquistati nell’isola sono 53. E il problema, mai verificatosi prima in una elezione generale, è che non ci sono glutei così numerosi per occuparli. I candidati sono appena 49. Fra di loro c’è anche Azzurra Cancelleri, la sorella del candidato presidente regionale sconfitto di misura da Musumeci qualche mese prima.

Ma un conto è stare all’opposizione; conto ben diverso è la gestione del potere. E le contraddizioni emergono impetuose. C’è chi al potere non ci vuole stare e chi dal potere è invece fortemente sedotto. Così da cambiare punto di vista anche sulle questioni di principio. La diaspora, anche dura e violenta, è la conseguenza inevitabile per una classe politica fragile e improvvisata.

Un bel giorno del 2020 in piena pandemia cinque deputati regionali siciliani del M5S, che sarebbero poi un quarto del totale, decidono la scissione. Sono Angela Foti, che è pure vicepresidente dell’Assemblea, Matteo Mangiacavallo, Valentina Palmeri, Sergio Tancredi ed Elena Pagana. Il loro gruppo Attiva Sicilia, che perde quasi subito Valentina Palmeri, punta a destra: fiancheggia quello di Musumeci.

Nel frattempo Cancelleri fratello se n’è già andato dalla Regione. È a Roma, viceministro delle Infrastrutture nel secondo governo Conte, oggi capo del M5S. E ha rivisto quella sua opinione sullo Stretto di Messina. Annuncia che proporrà di fare un tunnel anziché il Ponte. Poi eccolo sottosegretario, sempre alle Infrastrutture, nel governo Draghi. E il tunnel è uscito dai radar a favore del Ponte, che non è più inutile. «Servirà al territorio e all’Italia. Sarà pronto in dieci anni», dice alla Stampa.

Mentre in Sicilia, dopo il trionfo, si prepara il massacro. Le elezioni regionali del 25 settembre 2022 per i quattro ex grillini scissionisti sono una tragedia. Cinque anni prima sommavano 42.689 voti; ora che sono candidati nelle liste di Fratelli d’Italia tutti insieme ne racimolano 3.842. Fra i quattro, si apre solo un paracadute. Quello di Elena Pagana, che il nuovo presidente di Regione Renato Schifani nomina assessora all’Ambiente. Per capirci, quella che deve pensare anche agli incendi. Qualche mese prima lei ha dato anche alla propria vita personale coerenza con il cambio di visione politica, sposando l’assessore alla Salute della giunta Musumeci, Ruggero Razza. Ora è stato tirato in ballo in una inchiesta sulla sanità catanese dalla Procura che ha appena chiesto il rinvio a giudizio per lui e altri 15.

Ma non è che vada molto meglio ai resti dell’M5S isolano. Da quasi il 35 per cento precipita al 13 o poco più, perdendo 401.413 voti. E se alle Politiche il risultato siciliano appare più confortante, evidentemente grazie ai voti dei percettori di reddito di cittadinanza, in termini di seggi è semplicemente disastroso. Erano 53, adesso sono 9. Questo è anche l’effetto del taglio del numero dei parlamentari voluto dagli stessi grillini, ma la débâcle è comunque enorme.

E Cancelleri? Che ne è stato dell’uomo che per un decennio è stato la bandiera dei grillini siciliani? Colui che nel 2017 attaccava Silvio Berlusconi e il suo partito Forza Italia «fondato da un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa» come Marcello Dell’Utri? Voleva provare a fare il sindaco di Catania, ma dice che Conte gli ha negato la deroga alla regola del limite dei due mandati, sbarrandogli la strada. «E nessuno mi ha fatto neanche una telefonata». Allora lui ha sbattuto la porta, come si fa in questi casi. Per ripicca se n’è andato. Ha chiesto asilo al partito di Berlusconi e Dell’Utri, Forza Italia. Dove l’hanno accolto a braccia aperte.