Cinismo, approssimazione e conquista dell’elettorato del Nord. Così la premier lavora per il proprio futuro: scarica il Sud, colpevolizza i poveri. E lascia agli enti locali il peso delle sue scelte. Dal Rdc agli affitti, passando per il Pnrr

Tra tanto caos, disagio, approssimazione e, per chi se l’è visto togliere, disperazione, un unico minimo pregio contiene il triste inguacchio del governo Meloni nell’affrontare il taglio del reddito di cittadinanza: raramente sinora si è visto infatti con tanta chiarezza il disegno complessivo, l’impronta che il primo esecutivo guidato dalla destra, e da una donna, vuole dare della sua stagione a Palazzo Chigi. Una fotografia dalla nitidezza invidiabile.

Con l’sms dell’Inps inviato sabato a 169 mila famiglie che da oggi non hanno più il reddito di cittadinanza e, domenica, l’immagine a santino della premier in aereo con la figlia tra le braccia di ritorno dagli Stati uniti. Tra cinismo, sciatteria e un’aria di benaltrismo del tipo “che mangino brioche”.

Tutte le parole d’ordine infatti si tengono: “Non disturbare chi vuole fare”, fu la carezza agli imprenditori nel discorso della fiducia della neopremier, a fine ottobre. “No al pizzo di Stato” è stata la sintesi sfolgorante con la quale a fine maggio Meloni ha inteso spiegare, in un comizio a ridosso delle amministrative in Sicilia, come voleva ridisegnare la lotta all’evasione fiscale. «I giovani vadano a lavorare nei campi, piuttosto che sul divano», erano state ad aprile le gentili parole con le quali il ministro Francesco Lollobrigida, a Vinitaly, aveva chiarito per l’ennesima volta come Fratelli d’Italia inquadrasse la misura di sostegno voluta dai grillini e varata da Giuseppe Conte quando era al governo con la Lega di Salvini (dettaglio spesso trascurato: c’era anche la Lega).

Parole che nel tempo del governo Meloni sono andate di pari passo con le misure pratiche: un reddito di cittadinanza che non è stato riformato (come pure andava fatto) ma tagliato con l’accetta, in una riforma fatta approvare ma poi per nulla preparata. Un Pnrr che è stato rimodulato a tutto svantaggio dei comuni e degli enti locali in genere, togliendo fondi sui quali facevano conto da tempo. Un taglio inspiegabile al fondo di supporto per gli affitti, a sostegno della morosità incolpevole, che a marzo il governo Meloni ha deciso di non rifinanziare: quei 330 milioni adesso ci sono, perché il governo Draghi confermò la misura, ma nei prossimi mesi verranno a mancare, come segnala già adesso il presidente dell’Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro.

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Una diffusa pratica di scaricare tutto il peso sul Sud, sui poveri e sugli enti locali. Le parti deboli che, colpevolizzate, sono chiamate a farsi carico del costo che le riforme del governo Meloni ha deciso di voler realizzare. E, come nel perfetto manuale del capro espiatorio, del costo ulteriore che l’approssimazione con le quali il governo le porta avanti comporta.

È del resto chiarissimo quale sia la platea dei sacrificabili, a guardare i numeri del reddito di cittadinanza ora interrotto. Su due milioni di persone interessate, come ha spiegato Lucia Annunziata sulla Stampa, circa 300 mila sono al nord, 240 mila al centro, un milione e mezzo al Sud. È Napoli la metropoli dove ci sono oltre 21 mila famiglie che da oggi non hanno più reddito, mentre la prima città del nord è Torino, solo ottava nella classifica, con 4.600 sospensioni.

Basta sollevare ancora un po’ lo sguardo per vedere, poco oltre il reddito di cittadinanza, alzarsi un’altra riforma, quella delle Autonomie, che è destinata ad aumentare ancora di più il divario tra nord e sud, tra elettori o possibili elettori di Fratelli d’Italia e tutti gli altri. Un disegno complessivo ancora più grave di una singola misura, che aspira a ridisegnare i rapporti di forza nel Paese.

Storicamente, la destra aveva il suo bacino al Sud: proprio per questo Silvio Berlusconi nel 1994 fece alleanza con An nel meridione e con la Lega al Nord. Quel bacino però non poteva allargarsi più di tanto: trent’anni dopo, Meloni sta realizzando la mossa del cavallo che sola poteva portarla a dominare il centrodestra. La conquista dell’elettorato del Nord, che dovrà essere ultimata in tempo per le Europee, così da consentire a Giorgia Meloni di sedersi con pieno titolo al tavolo di quelli che contano a Bruxelles.