Il debutto con Charlie Chaplin, in “Luci della ribalta”. Il ripudio della guerra. Il cinema e la censura. L’appello alle nuove generazioni per cambiare le cose. L’attrice americana si racconta

«I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri e non impariamo mai nulla dal passato». A parlare, con una gran dose di umorismo, è l’attrice Geraldine Chaplin, 78 anni, figlia del leggendario Charlie, con cui debuttò nel suo “Luci della ribalta”. «Mio padre pensava che “Il grande dittatore” avrebbe cambiato ogni cosa, lo pensavamo tutti. Così non è stato, purtroppo». Lucida, loquace, a tratti malinconica, confessa a L’Espresso la sua visione pessimista rispetto all’attuale momento storico e lancia un appello alle nuove generazioni: «Devono cambiare le cose e farsi sentire, prima che sia troppo tardi».

 

Che cosa la preoccupa, soprattutto?
«Quando ho letto che la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite si terrà a Dubai e sarà presieduta da uno dei più importanti “baroni petroliferi” del mondo (il sultano Ahmed Al Jaber, amministratore delegato del colosso fossile Abu Dhabi national oil company, ndr) sono rimasta scioccata. Ma in che razza di mondo viviamo? Mi sembra che siamo arrivati a un punto di non ritorno, la sola speranza è che il cinema, come credeva mio padre, abbia ancora il potere di allargare le menti».

 

Qual è la lezione più grande che ha imparato da suo padre?
«Non era un predicatore, non mi dava regole, ma era un grande esempio di disciplina. E poi mi ha insegnato a saper ridere delle cose: l’umorismo è l’unico superpotere che abbiamo».

 

Chi la fa ridere oggi?
«Zelensky quando balla sui tacchi a spillo, lo trovo irresistibile. Ok, non sarà Beyoncé, ma è proprio un bravissimo ballerino».

 

Lo sostiene politicamente?
«Odio entrambe le parti, non credo ci siano i buoni e i cattivi in una guerra. Odio la guerra, odio la violenza, odio i confini, odio le bandiere, odio questo mondo così irrimediabilmente diviso».

 

Cosa pensa delle nuove generazioni?
«Sono la mia speranza. Mia figlia (Oona Chaplin, ndr) è incinta, ha 36 anni e vive in una comunità in Brasile, è un’attivista contro la deforestazione, pianta patate, broccoli, è diventata una contadina per proteggere la terra. È vicina alle comunità indigene e si dà molto da fare. Ecco, a me piacciono i giovani come lei, che si rimboccano le maniche per cambiare le cose, anche se nella vita fanno tutt’altro. Lei è una grandissima attrice, come si vedrà in “Avatar 3”».

 

Contenta di diventare nonna?
«Tanto, ho appena cucito con le mie mani una coperta arancione, perché rosa è da femmine, blu è da maschi, quindi ho scelto arancione. Credo molto nelle energie dei giovani, della generazione di mia figlia e spero di quella di mio o mia nipote, mi auguro solo che per loro non sia troppo tardi».

 

Tardi per cosa?
«Per tutto. Ogni cosa va verso la fine, le risorse si stanno esaurendo, viviamo in un’epoca catastrofica. Non sopporto l’idea che il mondo debba finire, forse perché odio il pensiero di dover morire io. Mi spiace dover morire proprio in questo tempo qui, tra guerre e disastri climatici».

 

Dice che esiste un buon momento per morire?
«Probabilmente no, è sempre terribile, ma forse avrei preferito morire negli anni Sessanta, facendomi un bel trip e “Arrivederci alla vita, Goodbye”».

 

Però così non avrebbe visto sua figlia crescere.
«Ha ragione, mi rimangio tutto. È che da quando ho cinquant’anni vedo la morte dietro a ogni angolo che mi guarda con un certo interesse. Da allora sono sempre più spaventata. Per me, ma soprattutto per il genere umano. Andiamo dritti verso l’estinzione, spero si salvi il pianeta, la razza umana è spacciata».

 

Il cinema ha il potere di salvare?
«Se può salvare la mente anche solo di un essere umano allora sì, c’è speranza. Non c’è nulla di apolitico, neanche il cinema: poter cambiare la prospettiva grazie a un film è un trionfo, anche se succede a una persona sola».

 

Ne era convinto anche il suo ex compagno Carlos Saura, venuto a mancare a febbraio.
«Lui accettava il tempo in cui viveva, a differenza mia. E provava a cambiarlo: è stato uno dei più grandi cineasti spagnoli. Pensava che i sistemi andassero combattuti da dentro, era un grande artista, lottava contro la censura, e riusciva anche ad essere una persona adorabile. Con lui ho avuto il mio primo figlio Shane».

 

C’è ancora chi lotta, nel mondo del cinema. Penso ai movimenti femminili e femministi, ad esempio, che hanno aperto un varco concreto: c’è più spazio per le donne oggi, non trova?
«Certo, ci sono più donne registe, ma non so quanto sia veramente cambiata la situazione delle attrici».

 

In che senso?
«Per le donne che recitano è sempre una questione di età, l’“age gap” è più forte del divario di genere. Funziona così: prima interpreti la donna giovane, poi la mamma, poi la nonna e poi fai film in cui muori, come quelli che interpreto io ultimamente».

 

Non è vero, in “Seneca” non muore.
«Ok, ma quello è un film folle».

 

“Seneca” ha scandalizzato la scorsa Berlinale per la violenza, a tratti gratuita, di alcune scene.
«Era Seneca stesso ad essere scandaloso. La scena in cui mozzano le teste dei bambini è sicuramente scioccante, ma è Seneca ad aver scritto anche scene crudeli. Io l’ho trovato divertente, in fondo: negli ultimi venti minuti Malkovich, nei panni di Seneca, le prova tutte per morire, invece non muore mai. Lo spettatore che guarda il film pensa che ogni sua parola sia l’ultima, e invece niente. A un certo punto viene quasi da dirgli: “E dai, su, muori un po’”».

 

Divertente lavorare con Malkovich?
«È incredibile, conosce a memoria la battute di tutti quanti sul set: è lui a suggerircele se ce le scordiamo».

 

Tra i suoi progetti in arrivo spicca la serie all star medievale “Glow and Darkness”. Le piacciono le serie tv?
«Moltissimo, e m’interessa molto il dibattito aperto oggi tra sala cinematografica e piattaforme».

 

Lei da che parte sta?
«Un tempo al cinema ci andavamo tutti, spesso anche nella stessa sala, per abitudine, per vicinanza, perché sapevamo che di domenica facevano questo o quel film. Oggi la concorrenza si è moltiplicata con l’avvento delle piattaforme, ma per me non uccideranno mai il cinema, sono solo un modo diverso per vedere un film. Ma il grande schermo resta fondamentale, io lo amo e lo amerò per sempre».