I benefici della misura sono difficilmente contestabili, ma il numero di frodi e la mancanza di correttivi hanno pesato

Siamo nel pieno della pandemia e il 18 maggio 2020 il secondo governo Conte vara un decreto-legge contenente misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia. Tra di esse l’incremento al 110% dell’aliquota di detrazione delle spese sostenute per realizzare specifici interventi di efficienza energetica, riduzione del rischio sismico, installazione di impianti fotovoltaici e delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici: il cosiddetto superbonus.

 

L’obiettivo perseguito è più che nobile: l’efficientamento energetico e la riduzione del rischio sismico soddisfano interessi fondamentali nella prospettiva della sicurezza e del benessere dell’intera popolazione. Il tutto iniettando linfa vitale a favore di un settore – quello delle costruzioni e del relativo indotto – in grave sofferenza da più di un decennio.

 

All’atteggiamento di favore sotto il profilo degli scopi perseguiti, segue la domanda se la misura sia riuscita a raggiungere l’obiettivo. Una serie di dati sull’effettivo utilizzo del superbonus possono ritrarsi dal report del 30 aprile scorso stilato dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea). A livello nazionale, le detrazioni maturate per i lavori conclusi ammontano a circa 65 miliardi; l’investimento medio per gli interventi (comprensivo delle somme non ammesse a detrazione) è di circa 611mila euro per i condomini, 117 mila per gli edifici unifamiliari, 98 mila per le unità immobiliari funzionalmente indipendenti e 281 mila per i castelli. Sulla scorta di questi dati, sono state effettuate varie analisi che mettono in luce una serie di vantaggi, nonché di possibili correttivi. Nel monitoraggio Nomisma (“Monitor 110” pubblicato il 21 febbraio 2023) si dà atto che l’impatto economico complessivo del superbonus 110% sull’economia nazionale è stato pari a 195,2 miliardi di euro, con un effetto diretto di 87,7 miliardi, 39,6 miliardi di effetti indiretti e 67,8 miliardi di indotto. In uno scenario in cui si stima che il settore delle costruzioni in Italia consumi oltre il 30% dell’energia primaria (generata per il 93% da fonti non rinnovabili) e sia responsabile di circa un terzo delle emissioni di gas serra, ne deriva una riduzione totale delle emissioni di Co2 in atmosfera, responsabile mediamente del 40% del totale con punte fino al 70% nelle grandi città, stimata in 1,42 milioni di tonnellate.

 

Quanto al bilancio delle famiglie, Nomisma evidenzia risparmi pari a circa 29 miliardi di euro (sui cantieri già conclusi). L’impatto sul mercato del lavoro ha poi decretato un incremento di 641 mila occupati nel settore delle costruzioni e di 351 mila nei settori collegati. L’indagine promossa dall’Ance – soggetto direttamente interessato – del 6 aprile 2023, rammenta l’importante contributo fornito dal settore delle costruzioni in termini di crescita del Pil. Sulla base di un modello empirico di valutazione, l’Associazione nazionale dei costruttori edili stima che, per ogni miliardo speso dallo Stato, 470 milioni di crediti fiscali sono destinati a rientrare in forma di nuove tasse, Iva e contributi vari. Sicché il costo effettivo è pari al 53% di quanto speso.

 

Di particolare interesse, poi, quanto affermato dalla presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), Lilia Cavallari, nel corso di un’audizione tenutasi il 16 marzo 2023 presso la Commissione Bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati. Sulla scorta della distribuzione delle agevolazioni ai Comuni, il superbonus ha avuto – si afferma – un impatto meno regressivo rispetto agli incentivi erogati in precedenza, consentendo una maggiore fruizione nelle aree meno ricche del Paese. Si è inoltre registrato un aumento significativo della fruizione delle agevolazioni per il risparmio energetico nei Comuni a reddito più basso ed è più che raddoppiata la quota di risorse destinate al Mezzogiorno.

 

Si è inoltre sottolineato come il settore delle costruzioni sia cresciuto in misura marcata, e più che in altri Paesi, nel biennio 2021-22, anche grazie allo sviluppo del comparto non residenziale e delle opere pubbliche. Si è poi rilevato che, nel biennio trascorso, il contributo degli investimenti in costruzioni residenziali alla crescita del Pil è stato di due punti percentuali, da ascriversi, sulla base del modello macro-econometrico in uso all’Upb, per una metà allo shock positivo generato dall’incentivo fiscale. I benefici generati dalla misura, dunque, sono difficilmente contestabili, ancor più se si considerano, da un lato, le stringenti regole di matrice sovranazionale destinate ad entrare in vigore nel prossimo futuro in tema di efficientamento energetico e, dall’altro, che il 68% degli immobili residenziali nel nostro Paese rientra nella classe di efficienza energetica D o inferiore. Non si può però nascondere che l’Italia si contraddistingue per un numero non irrilevante di frodi, né che, come hanno rilevato rispettivamente Nomisma e l’Upb, la bontà del meccanismo è stata inficiata in una qualche misura da utilizzi non corretti, nonché da una generosità delle agevolazioni anche a favore dei ceti più abbienti.

 

Se è vero che, parafrasando Voltaire, la perfezione è in conflitto con il bene, non v’è dubbio che nel provvedimento che ha varato il superbonus vi sia stato molto di quel bene cui l’intera collettività anela. La riflessione sui dati empirici può però favorire aggiustamenti e stimolare, attraverso la consapevolezza di quel che è stato, scelte future ancor più virtuose.