Sono piccoli schiavi invisibili, alcuni neanche censiti all’anagrafe, «toccano con mano precocemente le conseguenze dell’impiego dei genitori», si legge nel report di Save the Children. Tra le aree a maggior rischio le province di Latina e Ragusa

«Quando ho fame mi cucino da solo, non c’è nessun altro che può farlo per me. Mamma e papà si alzano alle 4 del mattino per andare a lavorare in una fabbrica fuori Pontinia. A volte tornano per pranzo, io sono a scuola, non ci vediamo. Loro poi escono per tornare al lavoro, io torno, mangio, lavo i piatti, faccio i compiti. La sera rientrano non prima di mezzanotte. Io sto già dormendo. A casa con noi vive anche mia nonna, è malata, non riesce più a camminare, il nonno invece esce la mattina poco dopo mamma e papà, anche lui lavora nei campi. Mi piace studiare, vuoi vedere i miei quaderni? Io studio sempre».

 

Questo il racconto di N. 10 anni, che si legge nella XIII edizione del rapporto “Piccoli schiavi invisibili” redatto da Save the Children, in occasione della Giornata Internazionale contro la tratta di esseri umani, il 30 luglio. Per denunciare un sistema che viola il diritto alla salute e all’educazione di bambine, bambini e adolescenti figli di braccianti. In due delle aree italiane a maggior rischio di sfruttamento lavorativo agricolo: la provincia di Latina, nel Lazio, e la Fascia Trasformata di Ragusa, in Sicilia.

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Come N. sono tantissimi i figli di braccianti sfruttati. Che trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna costruiti nei campi, in condizione d’isolamento. Che con difficoltà accedono ai servizi sociali e sanitari e al sistema scolastico. Che restano per lo più invisibili, alcuni neanche censiti all’anagrafe. «Maestra, papà è morto di lavoro!», ha raccontato G., 9 anni, all’insegnante, dopo aver perso il padre stroncato da un infarto mentre lavorava nei campi. «Mi sono dovuto prendere cura della mamma chiamando d’urgenza un’ambulanza», ha spiegato, invece K, 11 anni: «Quel giorno era caduta dall’alto di un’impalcatura per la raccolta in una fungaia tra Sabaudia e Pontinia, ferendosi gravemente, e aveva abbandonato frettolosamente l’ospedale senza denunciare l’accaduto per paura di perdere il posto di lavoro».

 

Secondo le stime disponibili, gli occupati irregolari nel settore dell’agricoltura in Italia, nel 2021, erano circa 230 mila: in gran parte stranieri non residenti. Vivono soprattutto nelle aree in cui la richiesta di manodopera è più alta, proprio come le provincie di Ragusa e Latina, dove i terreni consentono la coltivazione intensiva e dove sono nati due dei mercati ortofrutticoli più importanti del Paese, il MOF, Centro agroalimentare all’Ingrosso di Fondi e l’Ortomercato di Vittoria: in queste aree lo sfruttamento riguarda un numero elevato di famiglie, schiacciate dalle difficoltà economiche, isolate dal contesto sociale, che spesso vivono in condizioni abitative malsane: «Anche i minori toccano con mano, precocemente, le più drammatiche conseguenze dello sfruttamento subito dai loro genitori. L’assenza quasi completa di ogni dimensione sociale organizzata e condivisa per i minori, fa della scuola l’unico presidio attivo per il contrasto all’isolamento dei bambini», si legge nel report di Save the Children curato anche dalla giornalista Valentina Petrini.

 

Ma anche a scuola le cose non sono semplici: nella provincia di Latina, ad esempio, più della metà degli operai agricoli censiti sono di origine straniera: 13 mila su 20 mila. La percentuale è la stessa anche tra gli studenti di alcune scuole primarie situate nei Comuni in cui si è svolta la ricerca, dove la mancanza di un adeguato sostegno linguistico rende impossibile la formazione degli allievi: nello scorso anno scolastico, nell’area di Bella Farnia, la mediazione culturale in affiancamento ai docenti era un servizio comunale limitato a 8 ore al mese. «Troppo poco per bambine e bambini che non hanno né tempo pieno né doposcuola gratuito, e non possono essere accompagnati nello studio dai genitori, ostaggio del lavoro dall’alba a notte fonda per poter sopravvivere». Così l’esclusione sociale si radica fin dai primi anni di vita, facilità l’abbandono del percorso scolastico e l’inserimento all’interno di un mondo lavorativo governato dallo sfruttamento. A partire dai 12-13 anni, con paghe che si aggirano intorno ai 20-30 euro al giorno.

 

L’incrocio testimonianze raccolte nel rapporto: “Piccoli schiavi invisibili” con i dati allarmanti sul lavoro minorile in Italia, secondo cui si stima che tra i 14/15enni che lavorano, il 27,8 per cento, quindi circa 58 mila minorenni, abbia svolto lavori particolarmente dannosi per il proprio sviluppo educativo e per il benessere psicofisico, spingono Save the Children a chiedere Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di integrare il Piano Triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato con un programma specifico per l’emersione e la presa in carico dei figli dei lavoratori agricoli vittime di sfruttamento.