Il vento di destra soffia sul Continente, ma non al punto da scalzare il solido asse su cui si regge l’Europa

In un un’orgia di sconsiderata tracotanza la destra italiana, conquistata Roma, ha immaginato che la sua irresistibile ascesa l’avrebbe portata a prendere facilmente l’Europa. Una maggioranza Meloni in sostituzione della maggioranza Ursula che vede insieme nell'attuale legislatura socialisti e popolari, accompagnati da una schiera di forze minori. Un velleitario dibattito che ha infuriato in Italia, fermandosi però alla frontiera di Mentone, o del Brennero fate voi, oltre non se ne trova traccia, proprio per la sua pratica inattuabilità.

 

Mancano undici mesi, un tempo infinito in politica e i sondaggi non sono voti espressi nelle urne. Tuttavia qualche indicazione la offrono. Stando alle ultime rilevazioni, l’attuale compagine che regge le sorti a Bruxelles soffre di un vistoso calo (meno 36 poltrone) ma i 385 seggi di cui è accreditata le garantirebbero comunque una navigazione tranquilla in un Parlamento a 705. E la volontà espressa dai popolari di ricandidare proprio l’uscente Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea è espressione di un desiderio di continuità con la legislatura agli sgoccioli.

 

Non bastassero i numeri, ci sono le idiosincrasie e persino le dichiarate incompatibilità all’interno delle formazioni di centro-destra e destra estrema che dovrebbero costituire la vagheggiata alternativa.

 

Se in Italia il desiderio di potere è riuscito ad appianare le differenze tra Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega, diversamente va a Bruxelles dove, non per caso, i tre partiti appartengono a famiglie diverse, per semplificare e per non perdersi nel dedalo delle sigle, stanno rispettivamente con i popolari, con i conservatori e con gli identitari.

 

Giorgia Meloni sarebbe dovuta essere la federatrice capace di ripetere il miracolo italiano ma già dai primi pronunciamenti ha compreso che il campo è impraticabile, per usare una metafora calcistica. Matteo Salvini vorrebbe trascinare con sé Marine Le Pen, mai stata al suo pari peraltro una sincera europeista, rendendo impossibile la convivenza con Forza Italia come ha certificato Antonio Tajani. Tantomeno sarebbero accolti nella casa comune i rappresentanti di Afd, Alternative Für Deutschland, accusati persino di venature neonaziste. Persistono dubbi sul credo sincero nei valori democratici dei Veri Finlandesi e del Partito Popolare Danese, tutti sodali del leader della Lega che sogna di aggregare anche Fidesz di Viktor Orban, il padre padrone dell’Ungheria e teorico della democrazia illiberale (un ossimoro di cui purtroppo solo raramente gli viene chiesto conto).

 

Per riassumere: Salvini si accompagna con personaggi che, chi più chi meno, sono tutti impresentabili al tavolo dove si fa l’Europa soprattutto perché il loro volere nemmeno tanto velato è di minarla dall'interno, questa Europa, e di costruirne un'altra per tornare all’assoluto primato degli Stati nazionali.

 

Nemmeno la stessa Giorgia Meloni, a ben vedere, è stata completamente sdoganata nonostante gli sforzi per via di un passato (e parzialmente di un presente viste certe uscite dei suoi accoliti) su cui restano perplessità. Le bordate arrivano, si sa, soprattutto dalla Francia, non proprio l'ultimo tra i Paesi che contano. Anche i conservatori di cui fa parte si sono sempre definiti “euroscettici” seppur con sfumature meno marcate degli identitari. Ma anche ammesso che il suo ruolo di primo ministro di uno Stato fondatore come il nostro sia il lasciapassare per una totale accettazione, non altrettanto si può dire dei compagni di viaggio con cui si presenta.

 

Il nodo più ingombrante, anche perché numericamente rilevante, riguarda i polacchi di Diritto e Giustizia, il partito al potere (a Varsavia si vota in autunno), dominato dalla figura di Jaroslav, il superstite dei gemelli Kaczynski. L’altro, Lech, è morto nel 2010 in un incidente aereo in atterraggio nella base russa di Smolensk quando ricopriva la carica di presidente della Repubblica. Jaroslav ha accusato senza mezzi termini Donald Tusk, popolare, già presidente del Consiglio Europeo della morte del gemello perché da premier trascurò di prendere le necessarie misure di sicurezza e per aver lasciato a Mosca l’inchiesta sul disastro. Potranno mai i due, convivere? La risposta è scontata.

 

Né sarà facile far digerire Vox, il partito neo-franchista spagnolo (dove si vota il prossimo 23 luglio) di cui la Meloni frequenta le kermesse e in una della quali si è esibita nel tormentone «io sono Giorgia, sono una donna, sono italiana, sono cristiana...». La feroce campagna contro i diritti civili del suo leader Santiago Abascal spaventa i moderati. A dispetto del nome, fanno storcere il naso le posizioni dei Democratici svedesi, violentemente xenofobi, così come la postura sovranista di diversi gruppi sorti negli ex Paesi del Patto di Varsavia.

 

Sarebbero bastate queste semplici ed evidenti considerazioni per depotenziare l’arroventata e sterile zuffa italiana, costruita sul nulla e con l’evidente volontà di costruire una narrazione utile per trascinare l’elettorato sul carro degli annunciati vincitori quando si andrà alle urne. Il vento di destra soffia sul Continente è vero. Non al punto da scalzare il solido asse su cui si è retta Bruxelles e che, pur nella diversità, ha almeno il minimo comune denominatore di una forte vocazione europeista sia dei popolari sia dei socialisti. Mentre più a destra i distinguo non solo sul funzionamento ma persino sull’utilità dell’Europa si sprecano. E non avere dubbi almeno su questo presupposto di base sarebbe necessario se si vuole governare questo spazio comune.