Occorre distinguere tra i colossi che hanno il potere di imporre i prezzi e le pmi. Fare di tutta l’erba un fascio è un errore

Il tasso di inflazione corre in Italia, come in Germania e in Spagna, rimane molto elevato, intorno al 5,8% nonostante il notevole calo dei prezzi dei prodotti energetici. Rimane altresì molto elevato il costo del paniere della spesa, a due cifre.

 

Secondo la Bce la ragione di questo trend è da ricercare nei «profitti delle imprese che hanno spinto in su l’inflazione negli ultimi trimestri e non i salari». Una considerazione ovvia per qualsiasi cittadino dei 27 Paesi dell’Ue. Il costo della vita, infatti, sta diventando ogni giorno di più insostenibile per una larghissima parte dei consumatori.

 

Meraviglia, tuttavia, un’affermazione di tale tenore da parte della Bce. Viene, infatti, semplicisticamente universalizzata un’interpretazione della capacità di stare sul mercato delle imprese, come se ognuna di esse potesse disporre della stessa forza commerciale e finanziaria.

 

La questione non è così in nessun Paese dell’Occidente, se pur si sia ben consci della notevole diversità nella struttura produttiva, commerciale e finanziaria dei vari sistemi economici.

 

Non si riesce a capire come la Bce possa sostenere che la colpa del persistere dell’inflazione di fondo sia attribuibile ai profitti delle imprese, e come questo ragionamento possa essere esteso anche al prossimo futuro.

 

Sul mercato operano le multinazionali e le medie e piccole imprese, sia nel campo della vendita dei prodotti che della loro distribuzione ai consumatori. Fare di tutta un’erba un fascio, significa mettersi dalla parte di chi ha una forza commerciale e finanziaria spropositata e impone i prezzi dei propri prodotti, ha discapito di chi invece è costretto a subire i prezzi del mercato.

 

La guerra in Ucraina e le sanzioni economiche, producendo un’elevata e persistente inflazione, combattuta stranamente solo con i rialzi continui e striscianti dei tassi di interesse, hanno fatto un’altra vittima: il mercato.

 

Soffrono questa situazione allo stesso modo sia i consumatori della classe media fino ai meno abbienti, che le imprese (non monopolistiche) che non hanno la possibilità di imporre sul mercato i prezzi remunerativi, come prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Nessuno di loro è in grado, stante così le cose, di assicurarsi un futuro.

 

Per le nostre Pmi basta confrontare i bilanci 2022 con quelli del 2021. I profitti sono falcidiati dai costi energetici e dagli oneri bancari. Alla stessa stregua di quello che accade alle buste paga di lavoratori e pensionati non benestanti.

 

Non si capisce, allora, perché la Bce, quando solleva la questione dei profitti la generalizzi e non sostenga, invece, di tassare gli extra profitti di guerra delle imprese monopolistiche. Lo stesso dicasi rispetto alle invettive della presidente Giorgia Meloni che se la prende con la scarsità delle risorse finanziarie pubbliche, tacendo sulla tassazione degli scandalosi extra profitti delle imprese energivore.