L’autorità di borsa denuncia alla magistratura le piattaforme di exchange. Premi Nobel chiedono che vengano messe fuori legge. Eppure, sono tanti quelli che difendono le monete virtuali

E poi dicono del conflitto fra poteri in Italia. Nella prima metà di luglio si è assistito in America, e quindi sullo scenario mondiale, a un duello epico: mentre la Sec, l’autorità di controllo sulla borsa Usa, denunciava alla magistratura per una lunga serie di reati finanziari Coinbase e Binance (i due principali “exchange” in cui vengono trattati i bitcoin e le altre monete digitali), Larry Fink, fondatore di Blackrock (il più grande fondo d’investimento al mondo con 10 mila miliardi di dollari amministrati) sdoganava lo stesso bitcoin e i suoi epigoni: «Le cryptovalute sono un asset finanziario», ha affermato nella sorpresa generale in un’intervista a Fox News. «Possono rivoluzionare il sistema: sono titoli come gli altri, in grado di offrire al pari e meglio dell’oro, una protezione contro l’inflazione: sono l’oro digitale».

 

Un voltafaccia a 180 gradi: lo stesso Fink nel 2017 avvertiva gli investitori di «stare alla larga dai bitcoin e altre cryptovalute, scommesse basate sul nulla usate solo per finanziare attività illecite».

 

Cos’è cambiato da allora? Per la verità non molto, a leggere un rapporto pubblicato lo stesso 5 luglio dal Fondo Monetario Internazionale: «Il problema centrale - scrive il Fmi - è che più ancora del contante le cryptovalute sono anonime. Gli indirizzi di chi effettua una transazione sono tutti criptati e in ogni caso non sono direttamente riferibili al possessore della moneta». Se questa è la principale motivazione dello sviluppo dei cryptovalori, dice il Fondo, pone problemi insormontabili per «la riscossione delle tasse, il contrasto al crimine, al riciclaggio, al terrorismo».

 

L’economista Nouriel Roubini, durante un’indagine conoscitiva al Congresso, è stato più sintetico: “Shit-coin”, li ha chiamati. Quattro premi Nobel per l’economia (James Heckman, Thomas Sargent, Angus Deaton e Oliver Hart) hanno firmato un appello per fermare questo mercato paragonandolo alla follia che portò alle stelle la quotazione dei tulipani in Olanda nel 17° secolo. Joseph Stiglitz, Nobel a sua volta, ha chiesto che siano messi fuori legge. «Sarebbe una bella favola se solo fosse vera», ha chiosato Robert Shiller, un altro Nobel. E Standard & Poor’s, in un rapporto del 23 giugno, rileva che «le cryptovalute si sono presentate come il trionfo della democrazia globale, della finanza decentrata non dipendente da alcuna banca centrale, ma hanno finito con l’essere concentrate presso poche centrali di scambi».

 

Proprio le principali centrali di scambi sono finite nel mirino della Sec. L’accusa per Coinbase e Binance è di essere diventati “money-center” veri e propri, quasi banche d’investimento, senza i requisiti di sicurezza, pubblicità, affidabilità. «Offrono token che in realtà sono securities», si legge nella denuncia svelata dalla Cnn. È presso di loro che si forma il prezzo delle cryptovalute: ne sono quotate 16 mila presso Coibase e 10.600 su Binance: la maggiore, bitcoin, capitalizza solo su Binance 587 miliardi di dollari e ogni giorno si scambia il controvalore di 8-9 miliardi. Cifre appena inferiori per l’altro mercato. Mentre è iniziato l’esodo dei manager e dei dipendenti, il loro destino è nelle mani della magistratura (anche se nel frattempo continuano a operare). Il fondatore di Binance, il miliardario cinese Zhao Changpeng, a ogni buon conto si è chiuso nella sua casa di Dubai che non ha un trattato di estradizione con gli Stati Uniti. Oltre alle pendenze con la giustizia americana, per i due “exchange” si fa stretto il sentiero per l’Europa: Coinbase e Binance sono state autorizzate a operare in Italia con la registrazione nel 2022 sul registro per gli operatori in valuta virtuale gestito dall’Organismo agenti e mediatori, ma in Germania sono ancora off-limits, Olanda e Belgio hanno ritirato le loro licenze. La Sec ha finora respinto tutte le richieste di lanciare un Etf, cioè un future, sulle cryptovalute.

 

Eppure, malgrado le accuse di irregolarità che dovrebbero incrinarne le prospettive, una parte qualificata del mercato - oltre a Blackrock gli esempi sono molti - nei bitcoin continua a credere. «Se la domanda riguarda l’idea che il bitcoin possa costituire un’alternativa alle valute tradizionali e ai sistemi finanziari centralizzati, la risposta è decisamente affermativa», dice Gabriel Debach, analista della società di investimenti eToro. «Bitcoin ha dimostrato di poter offrire una forma di denaro digitale autonoma e resiliente, che può coesistere e integrarsi con le strutture finanziarie esistenti». Che ci sia un futuro per le valute digitali, del resto, lo indica la ricerca in corso presso le banche centrali per ipotizzare qualche forma legale di cryptovaluta: euro digitale o dollaro digitale. «Per rispondere al proliferare di mezzi di pagamento così strutturati, le Cbdc (Central Bank Digital Currencies) forniranno un’ancora di salvezza digitale per chi volesse continuare a investire in strumenti altamente speculativi come i crypto-asset», conferma Brunello Rosa, docente di finanza presso la London School of Economics. «La scommessa è permettere l’esistenza di queste forme di pagamento ma in forma molto più regolamentata».

 

Potrebbe essere possibile in un futuro chissà quanto lontano aprirsi un conto direttamente presso la banca centrale e agire per via digitale. Però siamo al futuribile: il presente è fatto di oscillazioni paurose di valore, carte bollate, incertezze. Solo due Paesi hanno finora adottato come valuta ufficiale i bitcoin: El Salvador e Repubblica Centraficana. Non proprio due campioni di democrazia.