Un teatrino plurilingue in cui si muovono personaggi disparati. Tra razzismo, invidie e sospetti. Anche se il regista si fa prendere un po’ la mano dall’urgenza di dire tutto

Cristian Mungiu è uno dei più importanti registi europei del nuovo millennio, e questo è un fatto. È anche un nome che purtroppo non tutti ricordano, e questo è un altro fatto. Ma che importa? Basta citare “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, l’aborto nella Romania di Ceausescu, per fare ancor oggi un salto sulla sedia. Ed era il 2007. I titoli successivi perdono qualcosa non in qualità ma in impatto. Chi ricorda il magnifico “Oltre le colline”? Certo: palma d’oro a Cannes, “4 mesi” storicizzava. Rivelava un mondo appena scomparso con stile rigoroso fino alla crudeltà. Trasudava amore e disperazione. Gli altri sono film al presente. “Un padre, una figlia (Bacalaureat)”, storia di ordinaria corruzione, rispecchiava un intero Paese, forse un continente (i Paesi più ricchi sono spesso più sofisticati, non necessariamente più onesti).

 

Oggi che il vento è cambiato in buona parte d’Europa, il compito è ancora più arduo. Infatti Mungiu sceglie una regione ultrasimbolica come la Transilvania, il lembo più occidentale della Romania. Non terra dei vampiri, come penseremmo noi, ma eterna frontiera.

 

In questo teatrino plurilingue (si parla romeno, ungherese, tedesco, e non solo), focolaio di diseguaglianze, si muovono personaggi molto diversi e molto veri anche se a volte troppo simbolici. C’è un bambino che ha visto troppo. Un padre ex emigrato che tenta di essere un buon padre, ma dovrebbe prima rieducare se stesso (e ritrovare il proprio vecchio genitore malato). Una giovane divorziata troppo ricca e colta per non suscitare invidie e sospetti. Un amore che non può essere amore perché intossicato da rapporti di potere, nei due sensi. Il lavoro che manca. Due immigrati dallo Sri Lanka che catalizzeranno odio e razzismo. E poi: tumultuose assemblee cittadine, feste silvestri e violente con gli abitanti travestiti da orsi, un prete che gira in Mercedes.

 

Magari Mungiu si fa prendere un po’ la mano dall’urgenza di dire tutto. Maestro dell’allusione e dei piani sequenza, dà il meglio quando concentra anni di vita e oceani di non detto in lunghe inquadrature che vanno al cuore dei luoghi e dei personaggi, fondendo l’intimo e l’economico. Così come gira scene di massa degne di Fritz Lang (“Furia”). Dopotutto questa è la storia di una comunità, soggetto sempre più raro nel cinema di oggi (con le dovute eccezioni per fortuna, pensiamo al recente “As Bestas”). Ma poco importano squilibri e derive. Il titolo originale, “R.M.N.”, cioè Risonanza Magnetica Nucleare, dice con forza l’ambizione clinica di questo film generoso e imperfetto. La diagnosi è ridondante ma esatta. Anzi implacabile.

 

Animali selvatici (R.M.N.)
di Cristian Mungiu,
Romania-Francia- Belgio, 125’

 

AZIONE!
Miyazaki su grande schermo. C’è solo un modo per spingere il pubblico a esigere film migliori. Mostrarglieli. Ben vengano dunque i cinque capolavori dello Studio Ghibli di nuovo in sala fino al 30 agosto: “Ponyo sulla scogliera”. “Kiki, consegne a domicilio”, “Il castello nel cielo”, “Il mio vicino Totoro”, “Si alza il vento”. Una festa.

 

E STOP
Tax credit nel mirino. Le nuove regole del tax credit, ancora allo studio, rischiano di far sparire definitivamente le produzioni indipendenti. Lo denuncia l’Anac, Associazione Nazionale Autori Cinematografici, che invita le associazioni di categoria a mobilitarsi. Non gettiamo il bambino con l’acqua sporca.