L’ansia nel tutelare i figli. La pressione delle chat di classe. Parla la scrittrice, già preside e insegnante

Scrittrice (“Quel che ci tiene vivi”, Guanda, è l’ultimo romanzo), Mariapia Veladiano ha insegnato Lettere ed è stata preside a Rovereto e Vicenza.

Che esperienza ha avuto dei genitori d’oggi?
«È aumentata la paura. I genitori temono che il futuro dei figli sia peggiore del presente e vorrebbero proteggerli. Dall’incertezza del lavoro, dal dolore di un fallimento, fosse pure da un voto insufficiente. E così da un lato alla scuola chiedono tutto: le certificazioni linguistiche, informatiche, lo studio all’estero, dall’altro le assegnano una fiducia sì, ma sospettosa. Ma proteggere non è educare. La protezione più efficace è la capacità di superare le difficoltà in modo autonomo. I ragazzi vanno avvolti di fiducia. Solo così scoprono la propria forza».

L’autorevolezza della scuola è messa di continuo in discussione. Con che conseguenze?
«Le chat di classe rassicurano i genitori attraverso la trama ossessiva del sapere tutto e anche più di tutto, in tempo reale, così da poter intervenire, prevenire, proteggere. E però lo strumento, potenzialmente buono, ha dentro i suoi pericoli. Una chat non è un dialogo, è un palcoscenico. Un messaggio emotivo una volta inviato rimane. Carico della rabbia del momento, o del sospetto che da pallido e immotivato diventa sempre più scuro e feroce. Tocca a noi arginare queste derive. I rappresentanti di classe potrebbero usare le liste broadcast per le informazioni di servizio e poi raccogliere le risposte, non lanciate a raggiera come coltelli affilati. Il tema dei rapporti fra scuola e famiglia è serio. Senza alleanza non c’è educazione seria. Più i genitori “frequentano” la scuola, meno si alimenta il sospetto».

Lo studio è improntato al risultato. Fatta eccezione per quegli insegnanti che riescono a mantenere passione e a trasmetterla, la media numerica che ruota nella prima schermata del registro elettronico, insegue genitori e studenti. E i ragazzi sono tutti malati d’ansia.
«Sono gli adulti i più ansiosi. E il risultato scolastico come indicatore di successo diventa il dio a cui sacrificare il piacere dello studio, il gioco della conoscenza, le attitudini vere, la felicità. Non è facile uscire da questo meccanismo ma si può. Si tratta di arretrare con sapienza e lasciare andare i figli. È possibile, esercitandosi sulla fiducia».