Gli ultimi governi, di taglio politico diverso, hanno lasciato la crescita allo spontaneismo, fatti salvi alcuni interventi correttivi. Ma questa ripresa senza guida non è sufficiente ad assicurare lo sviluppo del Paese. Da qui l’importanza di mettere a terra il Pnrr

Il Covid ha messo in ginocchio il sistema economico-sociale mondiale. Scoperto il vaccino, il meccanismo ha ripreso a camminare, se pur con accentuazioni diverse tra continenti e tra i vari Paesi di ciascun continente. Il Covid ha riacceso l’interesse sulle avversità naturali e sulla forza della scienza. Il cambiamento climatico, la transizione ecologica e l’intelligenza artificiale sono diventati un terreno di confronto/scontro, su cui si misura la capacità degli Stati di affrontare le sfide del futuro.

Un dilemma di grande rilevanza che non si misura sulla base del confronto/scontro scientifico, ma sul piano della lettura politico/partitica. Fa specie che la natura e i suoi sconvolgimenti, così come le innovazioni della ricerca scientifica, vengano intesi come fenomeni di destra o di sinistra. L’Italia non è immune da questa surreale competizione. Qualsiasi cosa accada o si debba affrontare, i nostri leader politici la connotano in base all’interpretazione di parte, come successo dell’uno o insuccesso dell’altro.

Non ci si vuole rendere conto che siamo immersi in una «crisi organica» data «dai possibili divorzi della società tra la società politica e la società civile» (Antonio Gramsci, “Passato e presente”), suffragata dalla disaffezione nella partecipazione al voto.

L’economia, comunque, sta andando avanti da sé. Basta pensare al trend tracciato dal 2021 in poi. Si registra, infatti, un positivo andamento del Prodotto interno lordo e dell’occupazione, con performance superiori alla media europea, nonostante l’avvicendamento di tre governi diversi. Uno di centrosinistra a base pentastellata, nato in Parlamento, uno del presidente (Mario Draghi) e uno di centrodestra, frutto delle elezioni. Governi di taglio politico totalmente differente che hanno lasciato la ripresa dell’economia allo spontaneismo, fatti salvi gli interventi per attutire i costi energetici per imprese e famiglie, preoccupandosi solo del vincolo esterno, per sostenere il collocamento del debito pubblico e per assicurarsi la compiacenza dell’Ue.

Ma la ripresa economica spontanea non è sufficiente ad assicurare lo sviluppo economico-sociale del Paese. Da qui l’importanza di mettere a terra il Pnrr nella sua interezza, nonostante le mille difficoltà. Il governo dà colpi alla cieca per cercare di uscirne ritto, ben sapendo che senza gli investimenti previsti da tale piano diventerà improbabile continuare con la crescita spontanea dell’economia.

Di fronte a una «crisi organica» è impossibile che il governo da solo trovi il bandolo della matassa. La bassa capacità di spesa per investimenti materiali o immateriali della pubblica amministrazione si trascina da più di trent’anni. L’occasione del Pnrr dovrebbe essere fonte di riflessione per tutti – per il governo in primis, ma anche per l’opposizione – per uscire dal pantano. Anche perché la similitudine con il calabrone, che vola, ma non si sa perché, potrebbe non avere più forza.