Il leader di Iv il più lesto: tre minuti dopo l’annuncio della morte già lanciava l’Opa su Twitter. La premier però è stata sin qui l’unica capace di interpretare il ruolo di leader del centrodestra, di piacere al popolo e alle elite. Come a Salvini non è riuscito mai

Solo adesso la partita è davvero aperta. Adesso che è finito il lunghissimo declino, allo scoccare dei dodici anni e sette mesi dall’ultima volta a Palazzo Chigi, che Silvio Berlusconi ha lasciato il 12 novembre 2011 e ha vagheggiato fino all’ultimo. All’ombra del cordoglio, nell’apice della commozione per una fine tante e tante volte rimandate, si comincia a giocare la più cinica e inevitabile delle partite: quella per la successione politica al Cavaliere. Una successione che lui non avrebbe e non ha mai, infatti, consentito: basti pensare che la sola volta in cui da leader in carica ha lasciato lo scettro del comando, quando nominò Angelino Alfano segretario del PdL, lo fece in favore di un uomo che non considerava depositario del Quid necessario a gestire il ruolo.

Successione, quindi. La più quotata è Giorgia Meloni. Il più lesto è come al solito Matteo Renzi: «Silvio Berlusconi ha fatto la storia di questo Paese», scrive su Twitter il leader di Italia viva alle 10 e 44: «Porto con me i ricordi dei nostri incontri, dei tanti consigli, dei nostri accordi, dei nostri scontri. Ma soprattutto di una telefonata in cui Silvio, non il Presidente, mi ha fatto scendere una lacrima parlando della mamma».

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Sono passati solo 3 minuti dal lancio dell’agenzia Ansa con l’annuncio della morte del Cavaliere: è un record, quello di Renzi. È un’Opa in piena regola, compreso il cinismo che si conviene al personaggio. Del resto l’ex Rottamatore lavora da anni nell’area limitrofa a Forza Italia, in attesa dell’occasione per allargare il suo Terzo polo, facendo leva anche sul rapporto da sempre speciale con il Cavaliere, che lo ha considerato una specie di figlioccio politico sin dai tempi in cui era segretario del Pd e contraente dello scandaloso Patto del Nazareno che contribuì non poco alla sua ascesa e all’interesse di entrambi.

Eppure, nei fatti, la partita della successione prevede una possibile erede che non ha bisogno di alcun lesto cordoglio per essere individuata come tale. Una erede donna, nel perfetto stile della casa: Giorgia Meloni. L’unica altra leader della destra capace, dopo il Cavaliere, di vincere le elezioni ed entrare a Palazzo Chigi per guidare il governo. Utilizzando un mix di populismo e postura istituzionale tutto diverso nel dettaglio da quello messo in campo da Berlusconi, eppure molto simile nella modalità e nella, per così dire, varietà dell’offerta. Capace di piacere alla gente, capace di dialogare con l’elite. Lui lo faceva da imprenditore convertito alla politica, lei lo ha fatto raccontandosi come una «underdog» convertita alla vittoria.

Ed è in fondo questa capacità di variare che le ha consentito di scalare posizioni sul piano della considerazione internazionale, di arrivare a guidare il governo. Una caratteristica che manca al suo unico competitor nel centrodestra, Matteo Salvini, che pure adesso cercherà certamente di presentarsi a sua volta come erede del mondo berlusconiano, pur essendo questa una chance ormai consumata almeno da tre anni.

È stata Meloni, in ultimo, la vera bestia nera per un uomo che non ha mai tollerato che dopo di lui potesse venire altro che il diluvio. Non a caso proprio in ultimo, quando la leader di Fratelli d’Italia era alle soglie del governo, Berlusconi ha fatto di tutto per dimostrare che lei doveva ancora una volta passare per lui, prima di poter arrivare a Palazzo Chigi. «La ragazza ha già rotto le palle», fu del resto il commento con cui nel 2009 il Cavaliere descrisse Meloni, all’epoca ministra della Gioventù, per lamentarsi con Ignazio La Russa di una intervista da lei rilasciata (titolo: “Questo Berlusconi non mi piace”). In Io sono Giorgia, è la stessa Meloni a descrivere un rapporto sereno ma distaccato, quello che in pratica non ha mai avuto con nessuno dei suoi “padri” politici:

«Ho sempre avuto con il Cavaliere un rapporto franco e leale e ho di lui una grande considerazione, ma la mia storia appartiene a un mondo che lui non ha mai capito davvero. Io, per Berlusconi, sono sempre stata una diversità antropologica difficile da accettare completamente, sia come persona, sia come esponente di una cultura politica altra. Alleati leali ma spesso distanti nel modo di concepire il senso della politica».

È tipicamente berlusconiano, del resto, lo stesso progetto che Meloni va coltivando in vista delle elezioni Europee del 2024. La costruzione di una alleanza tra Popolari e Conservatori che per la prima volta insidierebbe il predominio dei Socialisti europei a Bruxelles, e che tanto fa somigliare la premier alla possibile leader di una neo democrazia cristiana che sarebbe lontanissima dai Fratelli d’Italia, ma che è abbastanza vicina alla formazione istituzionale che ha avuto Meloni, entrata a Palazzo nel pieno fulgore berlusconiano, ormai 17 anni fa. La scomparsa del signore di Arcore dà questo progetto un maggiore spazio. Ma apre anche un momento di minor stabilità al centrodestra. Se non altro per via degli effetti di una corsa alla successione che, politicamente, è appena cominciata.