Forse la Francia riprende i test atomici. O forse è solo una bufala. In un film che mischia realtà e finzione, sommergibili e balene

Finalmente un film su cui litigare in allegria. Un oggetto tanto insinuante quanto inclassificabile. Con un protagonista sempre un po' sfocato immerso in una (non) storia tutta oscurità. E non per semplice partito preso, ma perché ambiguo è il terreno su cui si muove: il potere, ovvero la sua rappresentazione, che del potere - con il segreto - è la quintessenza. Parliamo di “Pacifiction”, gioco di parole tra (Oceano) Pacifico e fiction, il lavoro che ha provocato il più alto numero di estasi e deliri critici nell’ultimo anno, opus n.7 di Albert Serra, catalano ormai trapiantato in Francia, uno degli ultimi Paesi al mondo in cui possono nascere film così estremi e personali. Tutto infatti è incerto e caliginoso in questo labirinto costruito sulle sabbie mobili dell’immaginazione, ma senza nessuno degli abituali appigli offerti allo spettatore. I sospetti sono innumerevoli, i colpevoli invisibili o inesistenti, l’ambientazione sontuosa poiché siamo a Tahiti, paradiso perduto ma forse non del tutto, luogo esotico e insieme carico di fantasmi. Fantasmi della storia, della politica, dell’arte, sospesi su un intreccio avvolto a spirale intorno a un interrogativo incandescente: la Francia sta per riprendere gli esperimenti nucleari in Polinesia? Se è così, perché l’Alto Commissario francese De Roller (un Benoît Magimel magnifico di iattanza e paranoia) non ne sa nulla? Non sapendo nulla, come potrà gestire i locali, furiosi all’idea di nuove catastrofi? E quella sagoma intravista nella notte, sarà sommergibile o balena?

 

Completi bianchi, camicie vistose, macchinona d’ordinanza, De Roller moltiplica gli incontri, perlustra l’isola, dialoga, delira, deduce, cerca di ricavare qualche straccio di informazione dai militari francesi che affollano i night, interroga il volto spigoloso di un americano che sembra saperla lunga, si spinge anche al largo su una moto d’acqua lambendo le onde gigantesche su cui danzano i surfisti (scena memorabile per potenza plastica e metaforica). Ma alla fine tutto è illusione e vanità. Da solo o in compagnia del bellissimo/a trans locale Shannah, sua informatrice, quinta colonna e forse amante, ma soprattutto emblema vivente di questo trans-thriller realizzato con tecnica inusuale (sceneggiatura frammentaria, casting creativo, dialoghi sussurrati a Magimel via auricolare), l’Alto Commissario è il perfetto antieroe di un’epoca in cui il massimo della visibilità coincide col massimo della disinformazione.

 

Come in “Pacifiction”, affacciato su tutto e su niente, trapunto di riferimenti all’attualità politica o alla situazione in Polinesia solo per dire macché, è tutta fantasia. Anche se la fantasia, a volte, vede lungo.

 

Pacifiction
di Albert Serra
Francia - Spagna, 163'

 

AZIONE!
Godard è ancora qui. Il suo ultimo corto, “Film annonce du film qui n’existera jamais: Drôles de guerres”, sarà a Cannes Classics con il restauro del “Disprezzo” e un cineritratto dello stesso Godard. Il primo festival del mondo non dimentica. Due anche i restauri italiani, “Il ferroviere” di Germi e “Caligola” di Tinto Brass. Non molto.

 

E STOP
Disney e Warner precettano gli sceneggiatori Usa in sciopero: se hanno un contratto da showrunner devono comunque lavorare. In barba alle regole del loro sindacato e anche alla decenza. Intanto le associazioni di categoria italiane solidarizzano con i colleghi d’oltreoceano e preparano iniziative analoghe. Alle parole seguiranno i fatti?