James Mangold girerà un film sul menestrello del rock. E l’attore Timothée Chalamet avrà l’onere di interpretare le sua canzoni. Una scelta che in passato ha fatto fallire molti progetti simili

Lo spericolato regista James Mangold ha avuto l’impudenza di annunciare un biopic su Bob Dylan, impresa già di per sé complicata, con una imperdonabile aggravante. Le riprese di “A complete unknown” inizieranno ad agosto e il protagonista, il pur bravo Timothée Chalamet, avrà l’onere non solo di restituire una delle più complesse e decisive personalità artistiche del Novecento, ma anche di cantare, così, da solo, voce e chitarra, come se niente fosse, le canzoni del Maestro.

 

Nulla da dire sul talento di Chalamet, potrebbe perfino riuscire nell’impresa proibitiva di ricreare l’enigmatica e scabrosa anima di Dylan, ma la scelta di fargli cantare le canzoni, ovvero di “imitare” il suo stile unico e per l’appunto “inimitabile” se non a prezzo di parodie e imitazioni, sembra assai avventata, per non dire di peggio.

 

È il punto su cui cadono molte operazioni simili, vedi il Johnny Cash di “Walk the line” che lo stesso recidivo James Mangold fece interpretare a Joaquin Phoenix. Bella prova, buon film ma fortemente indebolito dalla scelta di far cantare a Phoenix le canzoni di Cash. Il problema è che nel timbro, nelle sfumature della voce, nei dettagli di stile c’è la verità di questi artisti, nessuno, per quanto bravo, può riprodurla in modo accettabile, neanche il fenomeno Joaquin Phoenix.

 

Altri l’hanno capito ed è il motivo per cui “Bohemian rhapsody” di Bryan Singer ha avuto un successo travolgente. Rami Malek ha vinto l’Oscar per la sua interpretazione di Freddie Mercury, senza avere la presunzione di esserne anche la voce. Singer ha usato, com’è giusto, l’autentica voce di Mercury, dando alla storia una forza espressiva che non avrebbe avuto in nessun altro modo. Perché non farlo anche in altri casi? Mistero.

 

È quello che avrebbero dovuto fare per il De André televisivo interpretato da Luca Marinelli e quello che avrebbero dovuto fare tanti anni fa quando lasciarono incredibilmente cantare a Diana Ross i pezzi di Billie Holiday nel biografico “Lady sings the blues”. Il desiderio di realizzare un film su Bob Dylan è comprensibile, ma i rischi sono enormi. Per questo Todd Haynes con “I’m not there” ebbe nel 2007 l’idea geniale di affidare a sei diversi attori sei diversi aspetti della storia di Dylan, evitando il tranello di un “simil” Dylan che poteva risultare grottesco o impreciso. Mangold invece pensa sia possibile, ha progettato un film con un titolo tratto da una delle più famose canzoni della storia del rock, ovvero “Like a rolling stone”, ma inevitabilmente tremiamo all’idea di ascoltare “Blowin’ in the wind”, “Just like a woman”, “Mr. Tambourine man” da un attore che deve far finta di essere lui. Ma la voce di Dylan, quella vera, è a disposizione.

 

UP
Madame arriva al primo posto della classifica degli album col suo nuovo disco, “L’amore”, lanciandolo come disco nella sua completezza, senza uno o più singoli trainanti, con l’eccezione del pezzo che due mesi fa ha presentato a Sanremo. Mossa d’altri tempi, legata al desiderio di comunicare una storia fatta di tanti episodi.

 

& DOWN
È sorprendente l’accanimento con cui a volte si cerca di estendere oltre ogni ragionevole limite l’esistenza di un marchio glorioso. In questi giorni Brian May ha annunciato che potrebbero lavorare a del nuovo materiale Queen utilizzando la voce di Adam Lambert, come avviene da tempo nei concerti. Ma ce n’è proprio bisogno?