Quattro fratelli senza qualità. Un padre troppo ambizioso. E al centro la grande Taraneh Alidoosti. Tra black comedy è mélo famigliare il terzo film di Saeed Roustaee (proibito in Patria)

Ecco un nome da segnarsi: Saeed Roustaee, classe 1989, autore finora di tre film destinati a stravolgere la nostra idea dell’Iran. Altro che stile, metafore, eleganza, come usavano i Kiarostami e i Panahi. Roustaee colpisce duro e forte usando il cinema di genere per frugare nelle piaghe meno visibili del suo Paese.

Il suo secondo film, “Sei milioni e mezzo” (come i tossicomani in Iran), era un poliziesco sfrenato e violento sulla lotta alla droga, gran successo in patria malgrado le mille astuzie usate per documentarsi, realizzare, infine portare il film a Venezia aggirando il boicottaggio di regime (acclamato in Francia, speriamo che qualcuno lo distribuisca anche in Italia).

Non meno fluviale e percussivo, proibito in patria, “Leila e i suoi fratelli” segue invece i disperati sforzi di una famiglia di Teheran per scongiurare la miseria mixando mélo famigliare e black comedy.

Con dialoghi a raffica, scorci metropolitani mai visti, e personaggi ipercaratterizzati per scavare senza riguardi in tutto ciò che divide il nuovo Iran in rivolta dal vecchio Iran patriarcale che divora i propri figli.

Ecco dunque un capofamiglia decrepito e infido (nonché oppiomane e analfabeta) ricorrere a ogni possibile astuzia per coronare i suoi sogni di scalata sociale e rispettabilità diventando il “padrino” di un vasto clan famigliare zeppo di imbroglioni anche peggiori di lui, mentre la povera Leila e i suoi quattro fratelli diversamente inetti tirano la carretta escogitando improbabili business. La lotta è frenetica anche perché i quattro, benché uniti, non potrebbero essere più diversi. C’è l’operaio onesto ma timido che si è appena visto chiudere la fabbrica, il tassista patito di culturismo, l’obeso pieno di figlie che pulisce i cessi in un centro commerciale, il traffichino pronto a mettere tutti in guai anche più grossi.

Tra ipoteche, testamenti, monete d’oro, ricatti economici e affettivi, la matassa non smette di aggrovigliarsi, mentre un tweet di Trump scatena un’inflazione spaventosa e le leggi non scritte ma ferree del clan rendono ancora più titanici gli sforzi di Leila per uscire da quella situazione. Anche a costo di trattare come forse meritano i vecchi genitori.

Tre ore scarse che scorrono impetuose in un susseguirsi di scene madri fra Eduardo e il dramma elisabettiano, con i soldi al posto del sangue e la ricerca di un mitico “onore” al posto della lotta per il potere. Nel cast affiatatissimo spicca Taraneh Alidoosti, già protagonista di “Il cliente” di Farhadi, e di recente condannata a 5 mesi con la condizionale per le sue posizioni femministe. Benvenuti in Iran. Quello che non si era ancora mai visto.

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AZIONE! E STOP

Ultimo tango a Sarajevo. È “L’appuntamento”di Teona Strugar Mitevska, la regista-rivelazione di “Dio è donna e si chiama Petrunya”. Stavolta tutto inizia da uno speed date. Le coppie siedono ai tavoli, si parla, ci si scopre, forse ci si piace. Ma a Sarajevo c’è posto per l’amore? Corpi, volti, parole: la verità brucia. Ma la menzogna di più.

 

Riccardo III? Tutta propaganda. Non era gobbo, non era un mostro ed era sepolto sotto un parcheggio. Lo scoprì nel 2012 un’impiegata inglese, archeologa dilettante. Una storia così bella da ispirare il delizioso film di Stephen Frears, “The Lost King”. Che però andrà direttamente su Sky. Poi non si dica che la gente non va al cinema.