Le spese per le nuovi reti aumentano, mentre sul piano tariffario è una guerra al ribasso e le entrate per le chiamate si riducono. Si apre il doppio tavolo dei gestori con il governo e in Europa. Con un occhio ai giganti dello streaming

Da un lato un incremento senza precedenti dell’utilizzo dei dati e dall’altro una dinamica in discesa dei ricavi. L’ultimo ventennio non è stato un periodo facile per le aziende di Tlc, specialmente in Europa: prezzi al consumatore in calo, investimenti in continua crescita, concorrenza spietata e battaglie all’ultimo cliente con offerte al ribasso, accompagnate da scelte di politica industriale orientate al consumatore e non al settore delle telecomunicazioni. Qualcosa però sta cambiando sia nell’industria che nella percezione della politica, in Europa e in Italia.

 

A fare il punto sullo stato di salute del settore nel Belpaese ci hanno pensato recentemente due report, uno di Asstel, l’associazione che riunisce gli operatori di settore, e uno di Mediobanca, che fotografa da anni l’andamento del comparto in un rapporto della propria Area studi. Secondo gli ultimi dati a disposizione, le aziende di Tlc in Italia hanno perso oltre 14 miliardi di ricavi dal 2010 ad oggi e hanno visto crescere fortemente gli investimenti, che nel 2021 hanno toccato i 7,2 miliardi, arrivando al 26 per cento del fatturato.

 

Un trend, quello degli investimenti, che è legato alla necessità di costruire le infrastrutture di rete - fissa in fibra fino a casa del cliente (Ftth) e mobile 5G - di cui il Paese ha bisogno per supportare la trasformazione digitale ma che sono necessarie anche per sostenere il continuo aumento del traffico, che, fra il 2020 e il 2021, è più che raddoppiato sul mobile (+117 per cento) e cresciuto del 75 per cento nel fisso, con un trend visto in crescita anche nel 2022.

 

Buona parte di questo aumento è legato anche dalla crescita dei cosiddetti over-the-top, ovvero i giganti che viaggiano sulle reti e fanno profitti: si pensi a Meta, Google, Apple, Amazon, Microsoft e Netflix. Queste da sole rappresentano il 56 per cento del traffico globale, con costi che, secondo uno studio pubblicato da Frontier economics, impattano sulle Telco per 26-40 miliardi di euro l’anno. Di questi, circa circa 15-28 miliardi di euro sono legati puramente all’aumento del traffico.

 

Nell’ultimo anno, tuttavia, il vento ha iniziato a girare, sia in Italia che in Europa. E nel nostro Paese ad alzare l’attenzione su questi temi tra i primi è stato Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, che ha riportato al centro del dibattito il tema della sostenibilità dei modelli di business del comparto con l’obiettivo di riaprire il dialogo con le istituzioni sulle tematiche industriali. E, passo dopo passo, è emersa la consapevolezza in ogni ambito - istituzionale, accademico e politico - di tornare ad avere un’industria delle Tlc solida, al servizio dell’interesse collettivo, considerato il ruolo centrale che il comparto ha, a livello infrastrutturale ma anche di innovazione, per la transizione digitale e quindi per la crescita dell’economia. Le Telco sono infatti diventate ormai centrali oltre che per l’accesso ai servizi dei cittadini anche per la sicurezza informatica degli Stati e per lo sviluppo delle nuove tecnologie, prima tra tutte l’intelligenza artificiale. Punti cruciali, che rendono necessaria l’adozione di nuove regole e strumenti che portino a mantenere all’interno del settore le risorse necessarie per lo sviluppo di reti e servizi.

 

A livello nazionale il nuovo governo ha messo questi temi al centro della propria agenda e della propria azione. Non a caso ci sono ora due tavoli paralleli per delineare il futuro delle Tlc. L’esecutivo, in particolare, ha avviato una riflessione profonda per adottare misure quali l’allineamento dell’Iva alle altre utility, l’inserimento delle aziende di telecomunicazioni nell’elenco di quelle energivore, il superamento dell’iper-competizione, l’innalzamento dei limiti di potenza per le frequenze 5G in linea con gli standard europei. Non a caso su questi argomenti si è intensificata la spola tra Roma e Bruxelles con il titolare del ministero per le Imprese e per il Made in Italy (Mimit) Adolfo Urso che ha avviato un dialogo con il Commissario Ue, Paolo Gentiloni e con la vicepresidente Margrethe Vestager.

 

Sullo sfondo di tutto, poi, resta il tema del consolidamento del settore. Tema delicato, visto che in passato l’Antitrust aveva sempre spinto affinché in Italia gli operatori mobili restassero quattro. Con la fusione, infatti, fra Wind e Tre, si decise per far entrare nel Paese la francese Iliad. Che però ora, a sua volta, da ultima entrata sottolinea la necessità di rivedere le regole del gioco. In Italia oggi le compagnie telefoniche proprietarie di infrastrutture mobili sono quattro, a cui si aggiunge anche Fastweb: se si guarda agli Stati Uniti, dove ci sono oltre 330 milioni di abitanti, ci sono soltanto tre operatori, mentre in Brasile, dove gli abitanti sono 200 milioni ci sono tre compagnie, tra cui la controllata carioca di Tim.

 

Un altro tema che sta montando in Europa è quello legato al “fair share”, ovvero all’eventuale introduzione di una misura a carico degli Ott (Over the top television) affinché contribuiscano agli investimenti per costruire le reti su cui viaggiano il loro business e i loro profitti. Dopo le parole del commissario al Mercato Interno, Thierry Breton, e della Vestager, che ha la delega alla Concorrenza, c’è attesa per una consultazione sul tema, che dovrebbe essere lanciata nelle prossime settimane.