Gli anni Venti, la cultura degli eccessi, gli albori del cinema. Dialogo a tutto campo con il regista di Babylon e La La Land che guarda a La dolce vita di Fellini e a Pasolini.«Negli anni Venti si respirava un’aria di maggiore libertà artistica»

A 38 anni appena compiuti il regista e sceneggiatore Damien Chazelle ha vinto già un Oscar, due Golden Globe e un Bafta per il suo “La La Land”. Che cosa ne ha fatto di questi prestigiosi riconoscimenti? «Non mi hanno cambiato la vita, ma mi hanno aperto delle porte importanti: grazie a loro ho potuto trovare i finanziamenti per realizzare un film che avevo nel cassetto da 15 anni». Sta parlando di “Babylon”, in questi giorni al cinema, un film iperbolico e faraonico che attraverso performance di divi cari allo star system di oggi come Brad Pitt e Margot Robbie mira a raccontare la cultura degli eccessi agli albori di Hollywood.

 

In America oggi c’è un clima culturale e politico che possa consentire un cinema veramente libero?
«No. Lo dico senza mezzi termini. Hollywood oggi è completamente governata dalla paura e da un certo moralismo puritano. Tutt’altro rispetto agli anni Venti che racconto nel film, in cui si respirava un’aria di maggiore libertà artistica in cui c’era spazio per l’eccesso e la trasgressione».

 

Intende dire che Hollywood negli anni è diventata bigotta?
«Penso faccia parte del suo processo naturale di evoluzione, fatto di continui aggiustamenti, modifiche, progressi e regressioni, per tendere all’ideale di una perfezione evidentemente irraggiungibile. La Hollywood di oggi, fatta di regole e conformismo, è ben diversa da quella libera e selvaggia che ho voluto raccontare in “Babylon”. Non il mito della vecchia Hollywood patinata, ma la costruzione di una città e un’industria nel bel mezzo del nulla ad opera dei reietti della società».

 

Vale a dire?
«Gli esclusi, gli emarginati, i rifiutati altrove. È ai poveri, agli immigrati, persino ai criminali che si deve la nascita di una nuova Babilonia. E al loro desiderio di arricchirsi attraverso un mezzo allora considerato sporco, volgare, peccaminoso al limite del pornografico, senza prestigio e senza futuro, cioè il cinema».

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Ha dichiarato di essersi ispirato a maestri del cinema italiano come Fellini, eppure il suo “Babylon” fa pensare molto a certe opere di Pasolini.
«È il cineasta che più di tutti ha saputo trasgredire, senza alcun timore di sfidare o scioccare il pubblico, eppure – o forse proprio per questo - ancora è celebrato e riconosciuto in tutto il mondo. Anche i suoi film più estremi e controversi sono considerati di valore. Lo ammiro molto e penso che la storia del cinema l’abbiano fatta, la facciano e la faranno i provocatori».

 

Chi sarebbero oggi i provocatori?
«Quelli che provano a fare qualcosa che esca dai binari prestabiliti, dalle regole e dalle convenzioni. Solo così il cinema può sopravvivere, grazie al lavoro di autori veramente liberi, in grado di rivendicare e usare questa loro libertà».

 

Per Pasolini il cinema era un modo per esprimere anche la propria visione politica. Per lei?
«Penso che avesse ragione lui, qualsiasi opera è politica. Da autore non puoi separare il cinema che fai dalla persona che sei, anche se involontario il gesto politico c’è sempre. Credo sia importante però per i registi non confondere l’intento politico con il didascalismo, la pedagogia, il volere a tutti i costi mandare un messaggio. Anche la sola provocazione è un gesto politico, per me forse il più alto, perché punta a scuotere lo spettatore, a porgli delle domande senza la pretesa di dare risposte. Anche perché chi diavolo le ha queste risposte? Contano solo le domande: spero che “Babylon” sollevi quesiti mai sollevati prima dai film precedenti, mostrando a viso aperto com’era, nel bene e soprattutto nel male, Hollywood quando era totalmente libera, selvaggia e sregolata».

 

Come libera, selvaggia e sregolata è Margot Robbie nel suo film, nei panni dell’aspirante attrice Nellie LaRoy. Già solo nella prima mezz’ora del film la vediamo fare praticamente di tutto: imbucarsi ad una festa, sniffare cocaina, ballare scatenata, mostrare un seno, piangere da un occhio solo e molto altro ancora.
«Margot Robbie è una forza della natura, un’attrice straordinaria con un talento e un coraggio rari. Ogni ruolo risveglia in lei una belva selvatica diversa, sul set può osare qualsiasi cosa, compreso piangere da un occhio solo. Sa unire all’istinto naturale una grande disciplina e questa combinazione tra selvaggia irrazionalità e virtuosismo tecnico è vincente. Per dirigerla ho dovuto solamente crearle intorno un’atmosfera di supporto e massimo comfort in cui potesse essere pienamente libera di sperimentare e improvvisare qualsiasi cosa volesse».

 

Parliamo dell’accoglienza che è stata riservata al suo film. “Babylon” sta dividendo molto pubblico e critica, si aspettava reazioni tanto controverse?
«Sapevo che avrebbe suscitato reazioni negative e infastidite, ci tenevo a fare un film controcorrente, contropelo, difficile da digerire. Come difficile è stato convincere i produttori a realizzarlo, sapevo fin dal principio che sarebbe stato scioccante nel suo intento di sollevare il tappeto e mostrare il marcio della vecchia Hollywood. Se vedendolo trovate certe cose eccessive vuol dire che ho centrato il mio obiettivo: non volevo un film che scivolasse silenzioso nell’anonimato, ma che facesse rumore. Ecco perché, nel realizzarlo, non ho voluto ammorbidire né attenuare nulla».

 

“Babylon” si apre con un elefante che sta per essere trasportato alla festa dell’anno, un party esagerato in cui vediamo accadere veramente di tutto…

«È lì che ho pensato a Fellini, nessuno sapeva girare le feste come lui, pensiamo alla Dolce Vita che ha fatto implodere ogni convenzione stilistica dell’epoca. Fellini ha insegnato al mondo a filmare il sogno e ad esplorare il confine tra sogno e realtà, arte e vita, bellezza e grottesco. Vorrei che si guardassero i miei film come tutti abbiamo guardato i suoi, lasciandoci trasportare in un viaggio incredibile».

 

Il cinema, come arte, è immortale?
«È un quesito che lo accompagna fin dai tempi dei fratelli Lumière. In camera ho appeso una copertina di Paris Match con Marilyn Monroe in cui ci si chiedeva se il cinema stesse morendo, erano gli anni Cinquanta. Se qualcosa è morto è forse il sistema degli studios, ma è stato sostituito dal sistema delle piattaforme, la cui coesistenza con le sale non è facile. Per fortuna però il cinema continua a sfornare nuovi mezzi per intrattenere il pubblico. Ieri con l’avvento del sonoro e del cinemascope, oggi con il 3D». Una tecnica interessante, se maneggiata da chi è in grado di usarla al meglio come James Cameron».