La premier è contro il fondo salva-stati, ma opporsi frontalmente all’Europa potrebbe costare al Paese un nuovo patto di stabilità con regole molto rigide sul debito

La disputa sul Mes non è solo sul Mes. Chissà se Giorgia Meloni se ne rende conto ma è un test sui nostri rapporti con l’Europa, alla vigilia di appuntamenti chiave come il nuovo Patto di Stabilità. «L’Italia non accede al Mes, lo posso firmare col sangue», dice la premier con grinta enfatica. Appunto, non accederà, non lo mette in discussione nessuno: ma il nostro Paese si è messo di traverso anche alla ratifica della riforma del fondo salva-Stati, il Mes appunto, e ne ha fatto un velenoso caso politico. Eppure il testo fa piazza pulita della terribile Troika ed è pieno di postille a noi favorevoli: «Una per tutte», spiega Andrea Boitani, economista della Cattolica: «Il nuovo Mes servirà per separare le crisi dei debiti sovrani da quelle delle banche evitando il pericolo del “double loop”, la spirale per cui se va in crisi uno Stato precipitano anche le banche che hanno in pancia i suoi debiti e viceversa. Insomma, a evitare - intervenendo a sostegno del fondo europeo di risoluzione delle crisi bancarie - una situazione tipo quella greca, che l’Italia aveva schivato di pochissimo». Ora che non c’è più l’ombrello protettivo del quantitative easing della Bce, l’acquisto dei titoli del Tesoro è un supporto fondamentale.

 

Ma Meloni dimostra di non aver seguito le vicende che portarono il governo Conte II ad avallare il 9 dicembre 2020 la riforma del Mes (manca la ratifica parlamentare). Si riuscì a evitare una clausola punitiva per l’Italia: la ristrutturazione obbligatoria con il taglio di parte dei debiti nel caso di crisi dello spread. «È un’ipotesi estrema - spiega Giampaolo Galli, direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici - però per un Paese che ha un debito del 150 per cento del Pil è bene considerarla. Visto che il taglio del debito comporta una perdita per i creditori - fondi d’investimento italiani e stranieri, banche, istituzioni finanziarie private e pubbliche - si possono immaginare le conseguenze. La ristrutturazione era obbligatoria in caso di richiesta di aiuto del Mes (intervenuto nelle crisi di Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro e Spagna, ndr), ora grazie all’intervento italiano l’obbligatorietà è caduta». Di fatto, la possibile ristrutturazione non è più conditio sine qua non per il “soccorso”. Chi è stato l’artefice di questa provvidenziale modifica in extremis? Proprio Alessandro Rivera, il direttore generale del Tesoro che Meloni vuole silurare entro il 24 gennaio, scadenza dello spoils system. E che invece si è battuto come un leone a Bruxelles con gli allora ministri Giovanni Tria prima e Roberto Gualtieri poi, con successo.

 

Con una buona dose di contraddittorietà, ora la premier ha derubricato a «questione secondaria» quella del Mes. Ma è stata lei a esasperarla togliendo spazio a problemi cruciali come salari e disuguaglianze. «La verità è che il Mes è un tassello integrante del disegno europeo di risposta alle crisi», spiega l’economista Innocenzo Cipolletta. «Il rischio è che dietro il braccio di ferro ci sia una questione politica più sottile. I governi tedesco, francese e spagnolo tengono alta la guardia nei confronti di vicende apparentemente tecniche, perché se prevale la linea Meloni dell’ossessiva avversità contro l’Europa e dei bastoni fra le ruote a ogni occasione, il cattivo esempio rinforzerebbe i gruppi di estrema destra: l’AfD (Alternative für Deutschland), il Rassemblement National di Marine Le Pen, gli spagnoli di Vox». La tensione era salita già quando, il 16 dicembre, la Bce aveva alzato i tassi dal 2 al 2,5 per cento e - malgrado con l’inflazione al 10 per cento il costo del denaro resti negativo in termini reali - diversi esponenti della maggioranza si erano detti «sorpresi e indignati» per una mossa giudicata inevitabile in tutti i palazzi d’Europa. «Non ratificare il Mes - aggiunge Cipolletta - è come sottolineare che ne potremmo aver bisogno e ne vorremmo avere uno diverso. Approvarlo così com’è e fare in modo di non averne bisogno è il miglior messaggio ai mercati».

 

C’è poi un aspetto di fondo che induce a un atteggiamento più possibilista sul Mes, l’opposto di quello odierno: a metà anno sarà varato il nuovo Patto di Stabilità perché entri in vigore il 1° gennaio 2024, stavolta con pene economiche pesanti per i trasgressori. Ormai è sicuro che verrà confermato il doppio vincolo del 3 per cento di deficit/Pil e del 60 sul debito. Gli stessi parametri del patto sospeso per il Covid-19 ma con un dettaglio: le regole sul debito («discesa al 60 per cento con il taglio ogni anno di un ventesimo della quota eccedente il 60») non saranno più uguali per tutti. Per l’Italia - con un debito/Pil intorno al 150 per cento - se rimanessero rigide finirebbero inevitabilmente inattuate (così come lo sono state con il vecchio patto) e si riaccenderebbe lo scontro in Europa. Le prescrizioni verranno invece decise caso per caso dalla commissione sulla base di parametri oggettivi come il saldo primario (esclusi cioè gli oneri da interessi) e la verifica del lavoro di rientro in corso, ma soprattutto il grado di collaborazione nei confronti del disegno europeo. Restar fuori da questo processo sarebbe devastante anche perché dopo il NextGenEu (leggasi Pnrr), del quale siamo i maggiori beneficiari, si vuole ripetere l’esperienza con qualche intervento comune contro l’emergenza guerra-energia-inflazione. Anche sul rispetto delle regole del Pnrr, verificate periodicamente per continuare i finanziamenti, c’è peraltro discrezionalità di Bruxelles e presentarsi con dei conti in sospeso non è l’ideale. «Motivi di opportunità politica avrebbero suggerito di non alzare tanta polvere intorno al Mes», commenta Angelo Baglioni, presidente di Ref Ricerche. «Si doveva fare a meno di trasalire sopra le righe. Il pericolo di mettersi contro l’Europa in vista delle prossime sfide è dietro l’angolo». Oltretutto, Meloni, che dal 2020 è presidente dei Conservatori Europei a Strasburgo (63 eurodeputati), sta cercando di smarcarsi dai movimenti di estrema destra (verso i quali invece spinge Salvini, ndr) in vista delle elezioni del 2024, stabilendo un’alleanza con il Ppe: qualsiasi svolta sovranista rimette indietro le lancette.

 

Il nuovo Patto di Stabilità arriverà in un momento molto difficile, con l’Europa stessa se non in recessione in forte rallentamento per l’inflazione e gli aumenti di tassi. Un indebolimento che non risparmia neanche i membri più forti del “club” a partire dalla Germania. Gli economisti più acuti come Wolfgang Munchau fanno notare che il rallentamento tedesco non coincide con un atteggiamento più benigno della Bce bensì con una vittoria dei “falchi” guidati da Isabel Schnabel, che all’inizio (2020) del suo mandato nel comitato direttivo della Bce era attenta a non irrigidire le condizioni di credito, e invece ora è diventata monetarista spinta, nel senso di aumentare i tassi senza pietà per domare l’inflazione, come se volesse dimostrare che non riserva privilegi alla Germania. Insomma, l’era Draghi è finita e il messaggio è chiaro dal primo giorno di presidenza Lagarde: non contate sulla Bce per risolvere i vostri problemi. Va detto che c’è ancora qualche incertezza sui tempi del nuovo patto, osserva l’economista Stefano Micossi: «Viene da chiedersi se in un panorama economico complicato da una guerra ai confini dell’Ue, la crisi energetica e un difficile aggiustamento monetario per battere l’inflazione, questa discussione possa trovare lo spazio che merita nel Consiglio Europeo». Ammesso che l’anno prossimo davvero entri in vigore il nuovo patto, «l’aggiustamento avverrebbe in un arco di tempo di quattro anni, estendibile per altri tre con un rafforzamento ulteriore delle misure di riforma e investimento. Il piano verrà discusso con la Commissione e dopo i necessari adattamenti approvato dall’Ecofin. La Commissione vuole dar vita a una procedura di sorveglianza vincolante in maniera analoga a quella dei Pnrr». Visto per valutare la sostenibilità del debito non esistono tecnologie affidabili, ecco che il fattore “reputazionale” diventa decisivo.