Il Paese scandinavo è primo al mondo nella classifica sull’educazione ai media. Perché informazione e giornalismo si studiano sin dalle elementari

Nella scuola Hiidenkiven di Helsinki due studenti di 13 anni parlano di fake news con la loro insegnante, Laura Kahlos. «Non ci caschiamo. Sappiamo distinguere le notizie vere da quelle false». Lei ne è convinta e non solo perché i ragazzini frequentano una classe specializzata nello studio dei media. La professoressa Kahlos è una dei 25 mila insegnanti finlandesi registrati a Triplet, il portale della tv pubblica Yle che ogni giorno produce notizie da commentare in classe. Se si considera che in Finlandia lo studio dei media parte alle elementari e che informarsi in casa con giornali e telegiornali è la normalità, ecco spiegata la posizione della Finlandia nella classifica sulla media literacy, l’alfabetizzazione dei media: prima al mondo.

 

Media literacy: che cos’è
«È un argomento fondamentale. Ancora di più in un’epoca di fake news», spiega Timo Koskinen, preside della scuola Hiidenkiven, dove oltre alle materie tradizionali si insegnano giornalismo, fotografia, video e il mondo dei social network, compresi i meme. «Bisogna dare agli studenti la capacità di comprendere in modo critico i media e il loro ruolo nella società». In un momento storico in cui le democrazie sono minacciate dalla diffusione di false informazioni, la Finlandia sembra raggiungere questo obiettivo. È tra i primi cinque Paesi al mondo per la libertà di stampa nella classifica di Reporters sans frontières ed è prima nel Media Literacy Index 2022 pubblicato a ottobre dall’Open Society Institute Sofia, seguita da Norvegia, Danimarca, Estonia, Irlanda e Svezia. Questo rende la Finlandia il Paese con il «più alto potenziale per resistere all’impatto negativo delle fake news e della disinformazione», spiega l’Open Society Institute Sofia.

[[ge:rep-locali:espresso:381931860]]

In Finlandia, d’altronde, si parla di media literacy dagli anni ’70. «E da una ventina d’anni abbiamo una strategia nelle scuole per educare all’utilizzo dei media in modo interdisciplinare», spiega Laura Makela, senior advisor del ministero della Cultura e dell’Educazione. «Combattiamo misinformazione e disinformazione, ma per riuscirci serve la consapevolezza che queste esistono. In Finlandia si comincia con i bambini e si continua con gli adulti». Makela sa che darsi obiettivi ambiziosi in un Paese ricco da 5,5 milioni di persone — meno degli abitanti del Lazio – è più semplice che altrove, ma sottolinea che il sistema funziona poiché tutte le istituzioni collaborano: il governo, le università, la radiotelevisione pubblica Yle, le biblioteche, le ong, le associazioni, i sindacati di giornalisti.

 

In classe, per esempio, si impara il processo di nascita delle news, la differenza tra disinformazione (false informazioni diffuse in modo doloso) e misinformazione (false informazioni diffuse senza sapere che siano tali). Ma si studiano anche i rudimenti delle pubblicità, le campagne di propaganda, il potere delle statistiche e del loro utilizzo fuorviante. E così pure la possibilità che foto e video vengano manipolati, che esistano falsi profili social e che agiscano con secondi fini. «Spesso gli studenti creano un proprio media e producono notizie, tramite siti web, articoli, video, foto, interviste», racconta Mari Vesanummi, giornalista di Yle News Class. «Ma anche sketch su TikTok. La disinformazione russa è una realtà e non arriva solo tramite i media tradizionali».

 

[[ge:rep-locali:espresso:381931861]]

Il fact-checking
A un secolo dall’indipendenza dall’impero russo il rapporto con Mosca è infatti ancora ingombrante, considerati i 1.340 chilometri di confine, i tanti rifugi antiatomici e un esercito con centinaia di migliaia di riservisti. La lotta alla disinformazione in Finlandia si è intensificata con la crisi tra Russia e Ucraina nel 2014, in modo da soffocare sul nascere le fake news e impedire che diventassero virali. Proprio in quell’anno in occasione delle elezioni europee a Helsinki è nato Faktabaari, un servizio di fact-checking che verifica le informazioni nazionali e straniere con una qualità riconosciuta a livello internazionale. Tra il 2021 e il 2022 Faktabaari ha aperto le porte a decine di giornalisti italiani, grazie al progetto Erasmus+ “Stop Fake News: come riconoscere le notizie vere da quelle false”, organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Liguria.

 

La giornalista Piitulainen-Ramsay ha mostrato pratiche diffuse nelle testate finlandesi: come monitorare i flussi di condivisione sui social per individuare notizie virali; come smascherare la presenza di bot; come verificare l’attualità e la veridicità di immagini e video. Nell’affrontare disinformazione e misinformazione politica su Twitter in Italia, non ha avuto dubbi da quali politici partire: Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

 

In Italia si va in ordine sparso
Il fatto che i due leader della destra italiana (nel frattempo diventati presidente e vicepresidente del Consiglio) siano considerati potenziali diffusori di fake news la dice lunga sulla diversità della situazione italiana rispetto a quella finlandese. Bastano due dati: l’Italia è al 58° posto nel mondo secondo il World Press Freedom Index di Reporters sans frontières; è al 23° posto nel Media Literacy Index, dietro tutta l’Europa occidentale e alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico.

 

«In Italia non esiste un sistema coordinato per la media education. A livello ministeriale non esiste nemmeno la figura del media educator che è un profilo non solo tecnologico, ma anche culturale», spiega il ricercatore Luciano Di Mele, segretario nazionale di Med-Associazione Italiana Media Education. Dal 1996 Med organizza corsi di formazione, premi e pubblicazioni scientifiche per diffondere una disciplina trattata ancora in ordine sparso, da singoli progetti scolastici a corsi di laurea magistrale. «Di recente è stata istituita la figura dell’animatore digitale nelle scuole, che però interviene su cose pratiche», aggiunge Di Mele. «Ben diversa è la media education, la cui importanza è difficile da far passare perché spesso alla politica non è chiaro l’argomento».

[[ge:rep-locali:espresso:381931862]]

È anche per questo motivo che la Rai, pur facendo sensibilizzazione contro le fake news, si occupa di media education in modo altalenante come mostrano le vicissitudini dell’informazione rivolte ai più piccoli. Alla fine degli anni ’90 è nato un Gt Ragazzi nella trasmissione Solletico di Rai 1, proseguito su altre reti Rai sino al 2014 per poi scomparire. Nel 2021 è ripartito su Rai Kids con due strisce settimanali da questo autunno salite a 15 minuti, il martedì e venerdì su RaiNews e Rai Gulp. «È importante spiegare ai ragazzi le notizie dei grandi e insegnare loro a elaborarle in modo critico», spiega Mussi Bollini, vicedirettrice di Rai Kids e ideatrice con la giornalista Tiziana Ferrario del primo Gt Ragazzi. «Al tempo stesso sin dall’asilo bisogna educare all’uso degli strumenti, perché con cellulari e social ormai ogni ragazzo è un piccolo editore. In ogni caso la media education è una disciplina di cui non è tanto necessario parlare: bisogna soprattutto farla».

 

Finlandia, fiducia record nella stampa
Ed è forse per questo che tra i giovani finlandesi non sempre è diffusa la percezione di aver studiato i media: perché la loro analisi avviene «in modo trasversale tra le materie», come spiega Kristina Kaihari della Finnish National Agency for Education durante una lezione sulla disinformazione nella Biblioteca Oodi di Helsinki. «Bisogna dare le capacità di districarsi nel mondo dell’informazione. Lo abbiamo fatto di recente per aiutare nella comprensione delle news legate alla guerra in Ucraina. Ma attenzione: dare gli strumenti per capire è ben diverso dal fare propaganda».

 

Sui divanetti della biblioteca, intanto, il 30enne Mika Salonen sfoglia il quotidiano Helsingin Sanomat. Poco dopo, Ellen Forsstrom, liceale di 18 anni, legge lo stesso giornale. «Non so dire se ho studiato media education a scuola, ma abbiamo sempre parlato di attualità e media». Intorno a lei ci sono decine di giovani, uomini, donne e anziani che leggono giornali italiani e stranieri: «Qui è un abitudine; i miei genitori, per esempio, hanno da sempre l’abbonamento all’Helsingin Sanomat». Non sono i soli: con 350 mila abbonamenti e quasi un milione di lettori, questo giornale è presente tra il 75 per cento delle famiglie nella zona di Helsinki. D’altronde i finlandesi, a differenza degli italiani, si fidano degli organi di informazione. Lo dimostra il Digital News Report 2022 del Reuters Institute, che calcola la fiducia nel giornalismo in Italia al 35 per cento e in Finlandia al 69: la fiducia più alta del mondo.