«Le correnti interne debbono concentrarsi su elaborazione e proposta piuttosto che sull’organizzazione povera di catene di comando. E gli iscritti vanno coinvolti nelle discussioni»

La triste vicenda circa la corruzione di alcuni parlamentari e assistenti nel Parlamento Europeo, appartenenti al gruppo socialista, ha riproposto il tema della questione morale. Le singole persone e le loro responsabilità vanno indagate dalla magistratura, individualmente e nel pieno rispetto delle loro garanzie. Siamo di fronte a reati colti in flagranza. A confessioni, come nel caso di Antonio Panzeri, per la volontà di collaborare con la giustizia. Alcuni, invece, sono ancora in una fase di accuse generiche o di un coinvolgimento per sentito dire. Mi auguro che al più presto si arrivi a dare certezze ai presunti rei e a cancellare l’inquietudine dell’opinione pubblica, soprattutto di sinistra. L’aumento di comportamenti scorretti, o persino criminali, va riferito a due processi politico-istituzionali e culturali che ci stanno investendo con rinnovata forza.

 

La questione morale è tutt’uno con la questione democratica. Lo osservò per primo Enrico Berlinguer nel 1981 in una memorabile intervista concessa sull’argomento a Eugenio Scalfari. Quando si allenta il vincolo della rappresentanza e le decisioni si assumono nell’ambito di istituzioni lontane e poco trasparenti, aumenta il pericolo dell’autoreferenzialità, della discrezionalità, della irresponsabilità. L’Occidente parla della necessità di esportare la democrazia in tutto il mondo. Ma quale democrazia? È dagli anni ’70 (ricordate la Trilateral?) che il pensiero neoliberista invoca una restrizione della democrazia, una riduzione della domanda, un accentramento del potere esecutivo. La coda avvelenata di questo lungo percorso che ha ribaltato le speranze suscitate dalle costituzioni emancipative del dopoguerra, ha portato all’oggi: una condizione nella quale mai è stato così fragile e confuso il rapporto tra il potere democratico e i cittadini. Ma oltre a questo c’è qualcosa, persino, di più basico. Si potrebbe dire di antropologico. Anche nella politica, che avrebbe il compito di promuovere ed educare il popolo, si sono insediati i miti peggiori di questa nostra modernità, per molti aspetti malata. Se comandano esclusivamente i valori del mercato, del profitto, della competizione persino spietata, dell’indifferenza di fronte al dolore degli altri è evidente che la classe dirigente (se non è in grado di resistervi e di coltivare un esempio di sobrietà alternativa) ne rimane vittima. Si adegua. Perde l’anima e il senso della sua missione. Anche a sinistra.

 

Nella discussione congressuale del Pd i temi che investono l’etica pubblica, vanno affrontati come una vera e propria sfida per il rinnovamento del partito. Che fare? L’interesse particolare e del tutto subalterno alla mondanità, va superato con uno sforzo, assente ormai da decenni, di pensiero, di elaborazione, di sapienza, di valorizzazione di tutte le energie ideali e intellettuali. Le correnti interne al Pd debbono concentrarsi su questo. Sull’elaborazione e la proposta. Piuttosto che sull’organizzazione povera di catene di comando. E alla base, se si vogliono davvero mescolare le culture e le tradizioni costitutive del Pd, va dato un potere non solo di partecipazione ma di deliberazione agli iscritti, i quali attorno ai temi fondamentali in discussione possono determinare maggioranze diverse. Basta con le deleghe in bianco, occorre una democrazia dal basso consapevole e verificabile in procedure chiare.