Gli ultimi dati di Banca d’Italia confermano: i tassi d’interesse sui finanziamenti per l’acquisto della prima casa continuano ad aumentare. Mentre l’inflazione riduce il potere d’acquisto dei salari e gli italiani sono costretti a metter mano al denaro accantonato nei conti correnti

Le nubi della crisi si allontanano dall’Europa. Sono sempre più numerosi gli economisti che, correggendo le previsioni quasi unanimi di qualche settimana fa, ora ritengono meno probabile una recessione nel primo semestre di quest’anno. Il forte rallentamento della crescita dell’ultimo scorcio del 2022 ha però già fatto sentire i suoi effetti sui cittadini-risparmiatori e sulle imprese, come confermano i dati pubblicati nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia e da altri istituti di ricerca.

 

L’impennata dei tassi d’interesse ha reso i prestiti più costosi, e quindi anche meno accessibili. Infatti, come emerge dall’ultimo Bollettino economico di Bankitalia, nei tre mesi da settembre a novembre del 2022 i finanziamenti alle famiglie si sono ridotti del 3,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Segno meno anche per i crediti alle aziende, diminuiti dell’1,3 per cento.

 

Le difficoltà maggiori riguardano chi è alla ricerca di un prestito per comprar casa. Secondo le rilevazioni della Centrale rischi finanziari (Crif) nel corso del 2022 le richieste di mutui sono state il 22 per cento in meno in confronto ai dodici mesi precedenti. E non poteva essere altrimenti visto che l’Euribor a tre mesi, il parametro di riferimento per i prestiti a tasso variabile è cresciuto da meno 0,5 al 2,4 per cento nell’arco di soli nove mesi per effetto della stretta monetaria avviata dalla Bce a partire dalla primavera scorsa. Vale lo stesso discorso per l’Eurirs, in base al quale si calcola la rata fissa, che all’inizio del 2022 viaggiava intorno allo 0,6 per cento e la settimana scorsa ha toccato il 2,4 per cento.

 

In generale, riassume la Banca d’Italia, il costo dei nuovi prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni ha raggiunto il 3,1 per cento, con una crescita dell’uno per cento circa tra settembre e novembre. L’aumento che ha interessato sia i mutui a tasso fisso (3,6 per cento) sia quelli a tasso variabile (2,8 per cento).

 

Lo scenario è cambiato soprattutto per effetto dell’inflazione che a dicembre ha toccato l’11,6 per cento, il massimo da quasi 40 anni. L’incremento generalizzato dei prezzi pesa soprattutto sui lavoratori dipendenti che vedono diminuire il potere d’acquisto dei loro salari, che restano stabili o crescono di poco. In molti casi, quindi, per far fronte a spese impreviste, non resta altro da fare che metter mano ai risparmi accantonati sul conto corrente. E infatti, i dati pubblicati nei giorni scorsi dall’Abi (Associazione bancaria italiana) segnalano che a dicembre i depositi negli istituti di credito erano diminuiti dell’1,3 per cento rispetto a un anno prima. Un calo cominciato a novembre e destinato a proseguire, almeno fino a quando l’inflazione non rallenterà di molto la sua corsa.