«In questi anni siamo apparsi come partito dell’establishment, autoreferenziale e centralista. È un modello finito. Chi capisce meglio i bisogni dei cittadini sono i politici sul territorio». Parla il sindaco di Firenze

Chi cerca nel congresso del Pd una liturgia del potere che celebra se stesso nello scontro tra fazioni, almeno stavolta rimarrà deluso. Agli assetati di scontri feroci il congresso dei Democratici non sta dando spettacolo. Questa circostanza può essere letta nella prospettiva dell’irrilevanza o invece può essere un segno di novità.

 

Siamo un partito plurale, grande, nazionale, erede di tradizioni che hanno fatto la storia del centrosinistra in Europa: quella democratico-cattolica, quella della sinistra comunista e socialista e non solo. Del resto, non è un caso se oggi le principali mozioni congressuali affondano le loro radici in quelle regioni che per prime e più a lungo hanno conosciuto la ricchezza ideale e il pragmatismo del modello socialdemocratico dei municipi e del partito.

 

In questi anni, però, il Pd è apparso come partito dell’establishment, autoreferenziale e centralista, imprigionato dalla logica dello scontro tra correnti di potere e dallo spettro delle scissioni. Una piramide rovesciata che ha costantemente indebolito i segretari eletti, producendo a ogni elezione candidature calate dall’alto e non legittimate dai territori. Questo modello non ha più nulla da dire a una stagione che chiede verità, contro tutti i populismi, competenza e pragmatismo per rispondere alle complessità dei contesti sociali ed economici, idealità radicale e radicata per ispirare i più giovani, protagonismo dei territori. A questo devono dedicarsi tutte le nostre energie.

 

La politica che oggi meglio interpreta queste qualità è quella praticata dagli amministratori locali, alle prese ogni giorno con bisogni e meriti dei territori e dei loro abitanti. Essi non sono solo erogatori di politiche amministrative, ma custodi delle attese dei cittadini, depositari delle loro speranze. Nelle città si sperimenta cosa sia davvero la sfida della sostenibilità ambientale, nei comuni periferici quella della connessione infrastrutturale; nelle comunità piccole e grandi si generano le frizioni dovute alla pressione migratoria, ma anche le soluzioni di accoglienza e integrazione che quelle tensioni risolvono; nei contesti territoriali diventa possibilità concreta il lavoro generato dall’impresa e dal settore dei servizi. A questi temi si aggiungono i due pilastri delle politiche formative e sanitarie. La concretezza degli amministratori ci aiuta ad affrontare il cuore della sfida: non solo cosa vuol essere, ma cosa vuol fare il Pd.

 

La forza costituita da queste migliaia di amministratori si sta aggregando attorno a Stefano Bonaccini, che con il richiamo all’energia popolare indica la fonte cui attingere per il duro lavoro da fare nei prossimi anni: opposizione a un governo sprovveduto prima ancora che cattivo; ricerca di obiettivi che garantiscano sviluppo sostenibile alle nostre comunità; lavoro formazione e cultura, nell’orizzonte europeo, ai nostri cittadini.

 

In questo da fare c’è spazio per la competizione congressuale? Sì, ma solo a condizione che sia un confronto tra le idee e non uno scontro sterile tra persone; con l’obiettivo di individuare una leadership, autorevole e plurale, che offra al paese la politica migliore e lo sviluppo più sostenibile possibile, capace di opposizione efficace al governo Meloni, con un’aspirazione nel cuore: governare l’Italia al più presto, ma la prossima volta passando da una vera vittoria nelle urne.