Lo strappo con Carlo Calenda, le elezioni, il ruolo in Europa, la globalizzazione che non è morta. Dialogo con la leader di +Europa

74 anni Emma Bonino, fondatrice del partito liberale italiano +Europa e radicale storica, non cessa di combattere e, con quel suo piglio realista e sbrigativo, spesso ironico, si candida nel primo municipio di Roma per un posto al Senato.

 

Quali sono le due proposte irrinunciabili dell’agenda di coalizione da affrontare in parlamento come prioritarie?
«Non lo so, posso dirle la mia agenda. Il parlamento sarà impegnato sul decreto Aiuti ter ma la cosa più urgente sarà la legge di bilancio, che non è una proposta ma è una necessità concreta e urgente a partire dalla quale affronteremo la questione del debito pubblico e del rapporto con l’Europa. La seconda priorità saranno le bollette e il tetto al prezzo del gas. È una questione che riguarderà il governo e credo che vada portata avanti la linea Draghi. La Germania ha fatto un’apertura sul price-cap, rimane la chiusura dell’Olanda e di altri Paesi ma bisogna  superare le resistenze».

 

Un tema direttamente legato alla guerra russa in Ucraina che negli ultimi giorni sta girando bene per gli ucraini con 6mila chilometri riconquistati…
«Noi proponiamo di resistere e di non farci attirare dalle sirene di Putin su un allentamento delle sanzioni o da qualsiasi altra retorica».

 

Se sarà eletta, come pensa di costruire e mantenere un dialogo continuo con il suo territorio di elezione? In che modo relazionerà sull’attività svolta? In quali luoghi?
«Grazie alla sapienza del legislatore precedente il mio territorio (il collegio di Roma 1) è composto da 830mila cittadini: una quantità enorme e un collegio grandissimo che fisicamente non è possibile presidiare. Non ho il dono dell’ubiquità. Fatta salva qualche attività in loco, dovrò continuare con social e informazione televisiva, se sarà permesso».

 

[[ge:rep-locali:espresso:364878278]]

In che senso?
«Sono appena usciti i dati dell’Agcom e noi di +Europa siamo fuori. Abbiamo zero minuti sulla rete di Mentana e 0,88 secondi su altre reti a fronte delle sette ore e molto di più di altri. E se questa è la condizione in par condicio si figuri senza!».

 

Chi sono i finanziatori della sua attività politica?
«Noi viviamo di finanziamenti pubblici come da legge».

 

In che modo si impegna a rimanere libero o libera da interessi e condizionamenti?
«Io? Ma veramente state parlando con Emma Bonino! Che devo fare giurin-giurello?».

 

Cosa ha fatto di concreto nel territorio in cui è candidata?
«Ci ho vissuto, ho restaurato una casa fatiscente e ho aiutato la Casa delle Donne. Che domanda è?».

 

Il suo partito +Europa e Azione di Carlo Calenda erano alleati da mesi in quella che sembrava un’unione ideologicamente coerente. Come ha vissuto l’abbandono?
«Sono stata umanamente molto dispiaciuta e politicamente incredula perché il 2 agosto c’è stata una conferenza stampa sulla base di un documento scritto da Calenda stesso, durante la quale lui ha dato un bacio in fronte a un Enrico Letta imbarazzato. Poi il 7 agosto sul palco dell’Annunziata Calenda annuncia che va da un’altra parte».

 

Non avete pensato di seguirlo?
«Quando un fidanzato se ne va non lo puoi rincorrere. E comunque non me l’ha chiesto nessuno di andare con Renzi. Sono virtuosa per mancanza di tentazioni».

 

Crede alle motivazioni addotte da Calenda, ovvero alla scelta di Letta di accogliere in coalizione l’estrema sinistra e i verdi?
«Calenda conosce bene questa legge elettorale che costringe a fare alleanze anche con l’estrema sinistra. In quella conferenza aveva persino detto “Dov’è Fratoianni? Se è tra il pubblico bacio pure lui!” Insomma non è che non lo sapesse».

 

[[ge:rep-locali:espresso:364279246]]

Come vede questa Europa tanto intergovernativa e poco federale?
«Come sempre l’Europa reagisce quando si trova a un metro dal burrone. L’abbiamo visto con il Covid, con il Pnrr, lo stiamo vedendo con Putin, con il gas etc. Quindi il mio problema è che gli Stati membri si accorgano che non ci serve l’Europa solo nelle crisi, anche se meno male che c’è. Spero venga superato il diritto di veto e che il Parlamento Europeo abbia maggiore iniziativa legislativa. Ci serve una politica estera e della difesa comune, una comune politica dell’immigrazione, Macron chiedeva anche un’Europa della salute ma forse se ne è dimenticato. In questi giorni si parla soprattutto di un’Europa dell’energia. Va tutto bene ma il punto è che vanno cambiati i trattati».

 

È fattibile nel breve periodo?
«No. L’Europa è lenta ed è prigioniera degli Stati membri. Però non è un motivo per smettere di lottare per gli Stati Uniti d’Europa. Magari nel frattempo si potrebbe avere un’Europa a due velocità: chi vuole maggiore integrazione e chi preferisce un’Europa soltanto intergovernativa. L’abbiamo già fatto sia con il trattato di Schengen sia con l’euro. È un’architettura complicata ma potrebbe essere una via d’uscita».

 

Come vede l’Europa dei diritti civili e umani?
«In Europa i diritti non sono mai stati la priorità. Lo è sempre stato il mercato comune, un vero miracolo, e poi l’euro. Ora l’Europa sta terminando le riforme relative a questi due settori. Ma sui diritti siamo indietro, e bastano due Paesi che si blocca tutto».

 

Come giudica il rapporto tra l’Europa e la Russia alla luce della guerra e della dipendenza dal gas?
«L’Europa ci serve anche per avere più voce sul tavolo dei colloqui e dei negoziati. Pesiamo molto di più come insieme di 500 milioni di persone che come singoli Stati ma, siccome non tutti si convincono, Putin cercherà sempre di perseguire il suo progetto che è quello di distruggere l’Europa per potere negoziare stato per stato. Con la Cina vale lo stesso ragionamento anche se il discorso è più complicato. Ma non c’è un’altra strada. Ha un peso enorme, anche a livello demografico, ma ha anche bisogno di interloquire con il mondo occidentale. Almeno per ora».

 

La globalizzazione è morta?
«No, speriamo di no, per carità. Non torniamo all’autarchia. Credo però che le crisi abbiano dimostrato che il vecchio ordine mondiale è finito e che un nuovo ordine, che è indispensabile, stenta ad affacciarsi».

 

Tornando in Italia, quali sono le misure che potrebbero portare sollievo a chi si trova in difficoltà in un Paese che non si è mai nemmeno ripreso dalla Grande crisi?
«Siamo diventati una “bonuslandia”. Leggo alla rinfusa: negli ultimi anni abbiamo avuto oltre al 110 per cento anche l’ecobonus, il bonus per il sisma, per i mobili, quello verde, idrico, quello per l’acqua potabile, per la ristrutturazione delle facciate, per il restauro prima casa rivolto ai giovani al disotto dei 35 anni, per gli affitti ai giovani al di sotto dei 31 anni, per le zanzariere, per i rubinetti, per i bebè, per il nido, per le nascite, il bonus mamma domani, questi ultimi, va detto, sostituiti dall’assegno unico. E poi il bonus centri estivi, animali domestici, vacanze, terme, pagamenti elettronici, bici, monopattini, auto, rottamazione tv, e mi fermo qui perché temo non avrà spazio in pagina. Credo che siano tutte misure utili per alleviare la situazione ma per fortuna che con il Pnrr si è aperto il capitolo delle riforme, quelle che servivano da anni e che l’Italia non riusciva a fare: burocrazia, digitalizzazione e istruzione. Stiamo affrontando obtorto collo situazioni strutturali. E non mi faccia aprire il capitolo sulla giustizia...».

 

Ma apriamolo!
«È il nostro problema principale e vale l’1 per cento del Pil. La mala giustizia intasa le carceri. Un problema complicato che riguarda l’obbligatorietà dell’azione penale, la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati. Il fatto che non siano passati i referendum non vuole dire che il parlamento non debba intervenire».