L’attivista Sophie Richardson è in Europa per spiegare che a nessun Paese può farla franca. Per questo è urgente una misura che vieti la vendita di prodotti frutto di lavoro forzato. A partire dal cotone dello Xinjiang

L’attivista americana Sophie Richardson, responsabile della Cina per Human Rights Watch, sospira guardando il palazzo del Berlayment dal caffè dall’altra parte della strada. All’indomani della pubblicazione del rapporto Onu sui crimini cinesi in Xinjiang, è in città per convincere la Commissione europea che non bisogna permettere alla Cina di farla franca con le continue e sistematiche violazioni dei diritti umani contro la minoranza musulmana degli uiguri. 

«Per la prima volta le Nazioni Unite accusano ufficialmente la Cina di crimini gravissimi contro gli uiguri, la minoranza etnica che la Cina vuole rieducare con la forza: i campi di lavoro forzati, la sterilizzazione obbligatoria e carcere a vita, in un rapporto pubblicato il 31 agosto. Il fatto che ci abbiano messo 5 anni a compilarlo è testimonianza dell'eccezione cinese: la Cina è l'unico Paese la mondo, per via della sua potenza, che non è chiamata a rispondere di crimini gravissimi. Abbiamo assistito allo smantellamento della società di Hong Kong negli anni passati e solo qualche giorno fa a cittadini bloccati a forza nelle proprie case della regione di Chengdu a causa della quarantena anche durante il terremoto. Il governo cinese non rispetto nessuno standard».

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Qual è l'obiettivo di questo rapporto?

«Puntiamo ad una Commissione di indagine modellata su quelle che hanno indagato in Birmania e nella Corea del Nord. Nessuno dei due Paesi ha offerto accesso agli investigatori, e dubito che la Cina lo farà, ma sono comunque riusciti a mettere insieme un quadro poderoso della violazione sistematica dei diritti umani»

Nessun governo oggi auspica uno scontro con la Cina...

«Vero ma negli ultimi cinque anni qualcosa è cambiato. Comincia a diffondersi la volontà di applicare misure che possano fare da deterrente. L'inazione alla luce di questo rapporto Onu sarebbe un'immensa opportunità mancata e invierebbe a Pechino un messaggi molto chiaro: «Puoi fare quello che vuoi». E sappiamo bene che lo scopo ultimo della Cina è rifondare a sua immagine e somiglianza il sistema internazionale dei diritti umani».

Quali sono i prossimi passi?
«Il Consiglio dei diritti umani, composto da 47 stati, si riunirà il 12 settembre e ci aspettiamo che con le votazioni della fine del mese sarà approvata una risoluzione che chiede una Commissione d'indagine che poi dovrà essere votata in primavera. La Cina fino al 2023 fa parte di questo Consiglio, anche se è stato il Paese membro del blocco asiatico eletto con il numero minore dei voti».

Cos'è in gioco?
«Il mondo come lo conosciamo. Xi ha molto chiaro cosa vuole dentro e fuori la Cina: cittadini completamente fedeli al leader, non religiosi, che seguono gli standard cinesi e non si differenziano in nessun modo. Vuole poi eliminare qualsiasi influenza della società civile, ottenere il pieno accesso a tutti i dati sensibili dei cittadini così da potere avere il controllo assoluto sulla società».

Ricapitolando
«....come Human Rights Watch vorremmo vedere azione alle Nazioni Unite nella riunione di marzo, sanzioni più ampie sulla Cina, una "due diligence" sulle società cosi da sanzionare chi utilizza il lavoro forzato e chi non rispetta gli standard umani e ambientali».

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E cosa potrebbe contribuire l'Europa?
«Nello Stato dell'Unione di mercoledì la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen dovrebbe annunciare il bando dei prodotti frutto di lavoro forzato votata dal parlamento europeo lo scorso luglio».