Chi abita sul fiume ne conosce segreti e pene. Scafi che galleggiano sulla melma, isole di sabbia e ghiaia, pontili sorretti da ciambelle ormai inutili. «In passato gli agricoltori si sono lamentati senza motivo, ora però hanno ragione. L’acqua oggi c’è, ma nei prossimi anni come si fa?» (foto di Alessandro Penso)

ino detto Ramon sta in piedi sulla sabbia, con una sedia e un secchio vicini, dove dovrebbe scorrere l’acqua. Pesca a ridosso di un ponte che traversa il Po e insieme il confine tra Lombardia ed Emilia. Chi vive sul fiume abita sempre una frontiera. Lui ha scelto 23 anni fa di trasferirsi in una roulotte nell’ultimo tratto di terra mantovana, sotto pioppi e robinie e aceri che ha piantato di persona. «Il sindaco di Viadana mi ha offerto una casa in paese, senza affitto. Ma non c’è la sabbia, là, non posso pescare, allora ho rifiutato. Qui sto da dio». Conosce i fiumi più importanti d’Europa, dice che il Po è il più bello. L’ha percorso tutto: dalla fonte fino a Torino a piedi, poi in barca fino alla foce. «Per me è come un figlio».

Si chiama Luigi Pezzali, il nome «Ramon» l’ha preso durante un lavoro in Argentina. È stato anche saldatore in Iraq negli anni Ottanta, ha fatto i marciapiedi vicino al porto di Amburgo. Ma è sempre tornato qui. «Il ponte l’hanno costruito i miei fratelli. Quando la legna venuta giù col fiume si arenava contro i piloni, mio padre andava a toglierla e la rivendeva». Mentre parla, con la canna tira su un pezzo di plastica: «Un tempo non ce n’era, l’acqua la bevevo. Poi per tanti anni è venuta marrone». Negli ultimi dieci, quindici anni, lo stato dell’inquinamento è migliorato di molto grazie ai depuratori. «Posso farci il bagno, perché so cosa c’è dentro. Porto regolarmente ad analizzare campioni d’acqua». E davvero entra a farsi il bagno. Ha cominciato a nove anni, ora va per i settantasei. «In questo punto non tocco, vedi? La situazione è strana», urla: «Ma non grave come dicono i giornali. Fu basso così anche nel 1965. Però sì, la situazione è strana. In alcuni tratti si può attraversare a piedi senza nemmeno nuotare». Dice Ramon che la navigazione in questo momento è solo per esperti, il rischio di arenarsi è serio. Accanto alla roulotte ha una barca piatta, un battello: «Quello dei pescatori del Po di una volta», dice: «Ora però ci tengo le rane. È troppo pesante per portarlo al fiume e navigarci, aspetto che il fiume salga».

 

Lo stesso battello, nel pavese lo chiamano «barcè». Risalire dal basso mantovano fino alla Lomellina significa percorrere il cuore del Po. E il cuore è ferito, spiega chi conosce il fiume come nessuno, chi veramente ci vive. Nel tempo della grande siccità, incontriamo di continuo scafi che galleggiano su poca acqua melmosa, isole di sabbia e ghiaia, pontili con ciambelle galleggianti ormai inutili. A Isola Serafini, nel tratto piacentino, la centrale idroelettrica è chiusa per l’emergenza. La diga ha due paratoie aperte su undici, per bilanciare l’acqua da trattenere a monte e quella da mandare a valle. Sulla sponda cremonese, a Isola Pescaroli, un cartello scritto a mano dice: «Tutti insieme ce la faremo!». Intanto due trattori e una motopompa del Consorzio di Bonifica Navarolo raccolgono acqua dal fiume e attraverso grossi tubi riempiono una vasca per irrigare. Poche centinaia di metri all’interno, le zone secche nei campi di mais avvolgono in una stretta quelle verdi.

«Qui mancano tre metri d’acqua», spiega Alberto Preto, 74 anni, sulla sua casa galleggiante in provincia di Pavia, sotto il ponte della Becca. La trasformazione gli sembra riguardare, più che un’emergenza di questi mesi, una tendenza degli ultimi dieci anni. Da almeno il doppio («Venti, venticinque, ho perso il conto») lui abita da solo nel punto in cui il Ticino si immette nel Po. Una scelta, dopo una vita a Milano dove aveva uno studio e restaurava il legno. Prosegue a farlo sulla casa galleggiante, picchiettata di segatura, ingombra di seghe circolari e tavoli Luigi XVI. «Potrei vivere con la pensione, ma di lavoro ne ho». Alberto indica tra le assi: «Stamattina qui sotto avevo un luccio di tre chili. Io non pesco, ho quattro o cinque canne mai usate, e i cacciatori mi odiano perché quando arrivano inizio a fischiare». Non ha barca, non ha auto. La sua vita è un inno ecologista, ma non rivendica una teoria e dice d’aver fatto quel che si sentiva e basta. «Ho sempre avuto un rapporto speciale col fiume, un’esigenza, diciamo, di stare col culo in acqua. Siamo in pochi a vivere con il fiume. A fonderci». Esce quasi solo per la spesa. «Le persone mi guardano come lo strano, allora le avvicino per spiegare la mia scelta di avere un piede in acqua e uno a terra». In effetti incontriamo sempre un imbarazzo, nei bar di paese e per le strade assolate, quando chiediamo informazioni su dove trovare chi vive sul fiume.

 

«Non cala, non può calare più di così», mostra ottimismo Italo Fornasari. Dal 2016, appena pensionato, è andato ad abitare in golena nei pressi di Cremona, in una casetta con giardino che affaccia sul Po ed era di suo nonno. Dell’intera vita da fabbro ha tenuto solo l’incudine, l’ha messa in giardino, accanto al tavolo dove si diverte a creare sculture. Oggi ha 66 anni, una conchiglia portafortuna al collo e un’ancora tatuata sulla spalla, e il fiume in questo stato non l’ha mai visto. Lo conosce più che bene: ha iniziato nel 1971 a percorrerlo in canoa, la sua passione, una volta arrivò a Venezia in tre giorni. Lo conosce e ne ha un rispettoso timore: «Mai dargli confidenza, è imprevedibile».

Italo non ha mai visto il fiume così, la lingua di sabbia che si vede da casa è anomala, ma sulla siccità ha la posizione più serena che incontriamo. «A me preoccupano le piene, non le magre. Il fuoco lo fermi, l’acqua no. Da queste parti le barche vanno, con attenzione. Gli animali ci sono ancora tutti, i pesci e gli uccelli sono quelli, ci sono le lepri, c’è una volpe qui dietro. Offro una cena a chi mi mostra dove attraversare il Po a piedi». In particolare è polemico con l’allarme lanciato dagli agricoltori: «Sono amico di molti di loro ma hanno esagerato a sfruttare i campi e a usare fertilizzanti. Il primo raccolto gli è andato benissimo, ora si lamentano per il secondo. Da qui a Brescia ho visto due campi di mais rovinati, e li ha rovinati la grandine». Lungo il Po, i sovvenzionamenti per i danni agli agricoltori sono controversi. La situazione dell’estate 2022, in questi territori, ha sollevato questioni complesse e aperto conflitti. Se il livello macro è il cambiamento climatico, si discute sulle responsabilità di gestione delle risorse da parte della politica locale. Se l’emergenza tocca l’agricoltura, in luoghi dove l’agricoltura è molto, l’ombra dei razionamenti cala su tutti.

Si può attraversare in Lomellina, per esempio, spiega Claudio Bompan, muovendo un braccio col pesce tatuato, perché c’è la ghiaia invece della sabbia. Dove il livello è sottile sulla ghiaia, si dice che l’acqua rida. «Mi considerano il matto del Po», scherza Claudio, che ha 70 anni e a quattordici usò i soldi degli straordinari per comprare il primo motore della barca. Nei dintorni in verità è un’istituzione, la gente domanda a lui come sta davvero il fiume. E a noi risponde che poca acqua così non ne ha mai vista: «Mai, in sessant’anni che viaggio in barca. Qui siamo giù di 3,80 metri, quasi la metà del normale», indica il battente sui ripari di cemento, il segno che fa capire dove il Po dovrebbe essere. Claudio abita da nove anni in una casetta su una lanca, un meandro acquitrinoso e separato dal Po, circa 30 km a ovest di Pavia. L’appartamento che ha ricavato dà proprio sull’imbarcadero da dove porta i turisti sul fiume. Portava, perché adesso non ha lavoro: quando c’era l’acqua non era stagione e adesso che è stagione manca l’acqua. Da un anno vive della pensione da operaio ed esce in solitaria, coi rischi che si corrono a navigare sul fiume in queste condizioni («Ho spaccato due motori»). Accenna al tratto che scivola sotto il ponte della Gerola: «Il Po è tutto lì. Un fosso. In dieci anni sarà sceso dell’80 per cento. Io non ho mai avuto paura del fiume, ma questo fa paura. Secondo me non c’è più niente da fare. Di chi è la responsabilità? Il clima», alza un dito al cielo. «In passato gli agricoltori si sono lamentati senza motivo, ora però hanno ragione. L’acqua per arrangiarsi coi campi oggi c’è, ma nei prossimi anni come si fa?».

Claudio è arrivato in Lomellina da piccolo, con i genitori sfollati dal Polesine alluvionato. Il fiume è nella sua vita dall’inizio. «Io ragiono in termini di Po, quindi Torino mi è più vicina di Pavia. Perché la gente del Po è tutta uguale, col valore della solidarietà: se qualcuno si ferma, lo aiuti anche se non lo conosci. Il mare non mi piace, giusto quello di Venezia. Odio il casino, quando vedo un’autostrada mi volto». E il Po gli svela tesori: negli anni Claudio ha trovato una mascella di mammut, un’anfora etrusca, un elmetto nazista. «Da qui sono arrivato a Venezia tre volte, e la prima cosa che ho fatto è stata andare dove sono nato». Punta le dita verso l’acqua stanca, lungo la riva si rincorrono i suoi cani, uno si chiama Fiume. Sulla stessa sponda, poco lontano, c’è una piccola Madonna nella roccia. È stata messa lì per proteggere dalle alluvioni, i fiori finti la invocano accanto al fiume mezzo vuoto.